Posts From novembre, 2021

Certificato di Prevenzione Incendi e Colonnine di ricarica

COME FARE PER RICARICARE L’AUTO ELETTRICA IN CONDOMINIO
Installare colonnine e wallbox è possibile ma bisogna rispettare alcune norme e, in alcuni casi, chiedere l’autorizzazione all’assemblea di condominio. Cosa c’è da sapere prima di acquistare un veicolo elettrico.

La richiesta di installazione di una colonnina di ricarica sta diventando uno degli argomenti più richiesti nelle assemblee di condominio. La questione, però, cambia molto in base alle caratteristiche dell’impianto elettrico e soprattutto, se l’impianto deve essere installato in uno spazio privato piuttosto che in un’area condominiale. Purtroppo normativa e burocrazia non aiutano, sono un labirinto di eccezioni e di casi. Vediamo, in sintesi, quali sono le norme di riferimento e come comportarsi a seconda delle circostanze in cui ci troviamo.

La premessa fondamentale è che nei box condominiali non è possibile ricaricare la propria auto direttamente da una presa ordinaria ad uso domestico, ma bisogna obbligatoriamente installare una wallbox per continuare a garantire la sicurezza e non violare le normative vigenti.

Ipotesi 1: box di proprietà con energia elettrica fornita da contratto intestato direttamente al proprietario del box.

Per l’installazione della wallbox all’interno del proprio box sono sempre necessari dei lavori di adeguamento dell’impianto, come in tutti i casi in cui si necessita di potenze maggiori di energia. Non sfugge a questo la necessità di ricaricare il veicolo in tempi più contenuti. Si ha l’obbligo di comunicare il tutto all’amministratore del condominio, il quale dovrà verificare che i lavori non creino danni alle parti comuni e siano eseguiti nel rispetto delle normative di sicurezza. Al condominio dovrà essere fornita tutta la documentazione necessaria delle parti modificate, la conformità dell’impianto realizzato e gli schemi, il tutto sarà a carico del condomino richiedente. Fattore importante è che l’intervento comporterà una modifica del Certificato di Prevenzione Incendi e i costi saranno a carico del condomino che ha determinato detta modifica.

Ipotesi 2: box di proprietà con energia elettrica fornita dal condominio.

Anche in questo caso vale quanto detto per il caso precedente con le seguenti osservazioni aggiuntive: la wallbox, dovendo sfruttare un allaccio alla linea elettrica condominiale, dovrà essere preventivamente autorizzata dall’assemblea condominiale e verificata da un tecnico incaricato dall’amministratore. Una volta verificata la fattibilità dell’installazione della wallbox dovrà essere installato un contatore per poter contabilizzare la corrente usata per la ricarica del veicolo al singolo condomino.

Va precisato che, oltre alle indicazioni sopra descritte, dove andrà collocata una stazione di ricarica andrà installata anche  la relativa cartellonistica di segnalazione e dovrà essere collocato un estintore idoneo all’uso su impianti o apparecchi elettrici in tensione in aggiunta a quelli già previsti. Va infine verificato se la potenza elettrica che l’autorimessa ha a disposizione sia adeguata o se sia necessario chiedere un aumento della potenza della fornitura.

In conclusione possiamo dire che prima di acquistare un’auto elettrica bisogna accertarsi delle caratteristiche di ricarica della stessa, successivamente iniziare a valutare la soluzione più idonea alle nostre esigenze in base al tipo di autorimessa in cui dobbiamo collocare l’autovettura.

di Viano Franceschini, perito elettrotecnico per il Magazine Condominio Zero Problemi

Cause in Condominio e Dissociazione

Ci si può rifiutare di partecipare?
Una vecchia norma consente ai singoli condomini di dissentire dal partecipare a una causa o a un processo, a condizioni molto precise. Ma chi paga le spese legali e chi beneficia dei vantaggi in caso di vittoria legale?

Il diritto di un condomino di non partecipare a una causa nella quale sia coinvolto il condominio è definito “dissenso alla lite” ed è disciplinato dell’articolo 1132 del codice civile.

Al fine di evitare qualsiasi possibile fraintendimento va precisato che il codice civile con il termine “lite” intende una causa o un processo, non qualsiasi contrasto tra posizioni contrapposte espresso fuori dalle aule di giustizia.

Il dissenso alla lite è un argomento complesso e controverso, fonte di discussioni infinite perché la norma in esame è confusa, si presta a interpretazioni le più disparate ed è fonte di contrasti tra amministratori e condomini e tra i condomini, ma soprattutto è a mio parere dannosa e contraria allo spirito di socialità che deve (dovrebbe?) permeare il condominio.

L’articolo 1132 è tra quelli che non sono stati toccati dalla nota e oramai non più nuova riforma del 2012, mentre avrebbe avuto bisogno di una radicale riscrittura, meglio ancora sarebbe stata, a mio avviso, la sua eliminazione.

Ma alcuni punti fermi ci sono, anche se il merito di questi va ascritto, come spesso avviene, alla giurisprudenza più che al legislatore.

 La delibera: presupposto preliminare imprescindibile.

Il primo punto fermo: il dissenso può essere manifestato soltanto in ordine alle cause, attive o passive, alle quali il condominio abbia deciso di partecipare in forza di una delibera assembleare: se non c’è la delibera, non esiste la possibilità di esprimere il dissenso.

Senza delibera i condomini non hanno il diritto o la facoltà di esprimere il dissenso. La delibera è quindi un presupposto essenziale per poter manifestare il dissenso alla lite. Ne consegue che non esiste la facoltà per i condomini di esercitare il dissenso in ordine alle liti che l’amministratore ha il dovere di promuovere o di resistere senza il preventivo “passaggio in assemblea”.

Quindi non esiste il diritto di esprimere il dissenso per le cause il cui esercizio rientri nei poteri/doveri dell’amministratore, ad esempio il ricorso per decreto ingiuntivo contro i condomini morosi o il ricorso d’urgenza per il passaggio delle consegne nei confronti dell’amministratore uscente o per le cause di impugnazione delle delibere.

 Due formalità entrambe necessarie

Il secondo punto fermo è che il condomino presente in assemblea per esprimere il dissenso in modo valido deve compiere due distinti atti formali, entrambi essenziali.

Il condomino presente in assemblea infatti deve votare “no” allorché si voti sulla partecipazione o meno del condominio alla causa, cioè deve essere manifestamente “dissenziente” in relazione alla delibera: il voto “negativo” è solo la prima formalità, assolutamente necessaria, ma non sufficiente da sola.

Il solo votare “no” non è sufficiente per essere esclusi dalle eventuali conseguenze negative della causa, cioè per essere “dissenziente” nel significato di cui all’art. 1132 del codice civile.

Per essere dissenziente nel senso di essere legittimamente escluso dalla causa e quindi dalle conseguenze negative che potrebbero derivarne, il condomino che abbia espresso voto negativo in assemblea ha poi l’obbligo di notificare – ma basta una lettera raccomandata a.r.  – all’amministratore un atto scritto con il quale ribadisca il suo dissenso, cioè la sua contrarietà alla causa e quindi la sua volontà di essere esonerato dalla partecipazione alle spese. Tale comunicazione deve pervenire all’amministratore entro 30 giorni dalla data dell’assemblea.

Ovviamente il condominio assente, se volesse dissentire dalla lite giudiziaria, dovrebbe soltanto inviare all’amministratore la formale comunicazione scritta di dissenso entro 30 giorni dalla data in cui abbia avuto conoscenza della delibera.

 Le conseguenze della lite

Il condomino esprime il dissenso per l’evidente motivo di non voler essere coinvolto nella causa sotto il profilo economico, cioè per la volontà di non subire le eventuali conseguenze negative derivanti da un esito negativo del processo.

In caso di soccombenza del condominio il primo comma dell’art. 1132 del codice civile statuisce che il condomino che abbia espresso il dissenso “può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza”. Formula quanto mai ambigua, tanto è vero che esiste una forte e giustificata confusione interpretativa e soprattutto una disparità di vedute tra i vari tribunali.

In caso di soccombenza, in ordine al pagamento delle spese di lite, abbiamo due conseguenze per il soccombente: una certa e una probabile, ricordando che la norma, come detto, risale al 1942, allorché non esisteva il patto quota – lite tra cliente e avvocato.

La conseguenza certa è il pagamento della parcella del proprio legale. Infatti il cliente è tenuto a pagare la parcella del proprio avvocato qualunque sia l’esito del processo. La conseguenza probabile (molto) è la condanna al pagamento delle spese legali, in tutto o in parte, a favore della parte vittoriosa.

Quindi il condomino dissenziente, in caso di soccombenza del condominio, non è tenuto a partecipare al pagamento delle spese processuali a favore del difensore del condominio e a quelle eventuali, ma probabili a favore della controparte liquidate dal giudice con la sentenza.

È opportuno sottolineare che, nel caso in cui oggetto del giudizio sia il pagamento di una spesa per un bene o un servizio fornito al condominio, il dissenso alla lite non esonera il condomino dissenziente dall’obbligo di contribuire, pro quota, al pagamento della spesa.

Ad esempio, se oggetto della lite fosse il pagamento della fornitura di gasolio, pagamento contestato dai condomini e preteso dal fornitore, in caso di esito negativo della lite per il condominio, il condomino dissenziente sarebbe esonerato soltanto dal contribuire alle spese processuali, ma non dal partecipare, pro quota, al pagamento del gasolio.

In caso di vittoria del condominio il secondo comma dell’art. 1132 stabilisce invece che, se l’esito della lite sia stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente “che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente”.
In caso di esito vittorioso, in ordine alle spese di lite, abbiamo quindi due conseguenze per il condominio: una certa e una probabile: la conseguenza certa è il pagamento della parcella del proprio legale, la conseguenza probabile è la condanna della controparte soccombente al pagamento delle spese legali a favore del condominio.

In tal caso, cioè se vi sia la condanna della parte avversa al pagamento delle spese, allora ci sono due condizioni che comportano il pagamento delle spese in quota parte per il condomino dissenziente:

  1. a) se il condomino dissenziente hai tratto vantaggio dall’esito vittorioso;
  2. b) se le somme liquidate dal giudice a favore del condominio vittorioso a carico della controparte soccombente non siano sufficienti a coprire le spese pagate dal condominio al proprio legale.

Allora, e solo allora, il condomino dissenziente dovrà contribuire pro quota alle spese processuali per la sola parte non “coperta” da quanto recuperato dalla parte soccombente.

Quindi in caso di vittoria del condominio il dissenziente non deve partecipare alle spese processuali, se non nell’ipotesi residuale sopra illustrata.

Pertanto il condominio dissenziente, in relazione alle cause deliberate in assemblea, non è tenuto a partecipare al pagamento pro quota delle spese processuali, e precisamente non è tenuto a pagare né quelle a favore della eventuale controparte vittoriosa, né quelle a favore del legale del condominio.

Al fine di fare la maggiore chiarezza possibile si evidenzia che gli acconti pagati dal condominio al proprio legale di fiducia sono appunto acconti, cioè anticipazioni sulla parcella finale, per cui il condomino dissenziente non dovendo pagare la parcella non deve pagare neppure gli acconti sulla parcella.

Infine è opportuno ricordare che l’art. 1132 del codice civile è inderogabile per espressa previsione del IV comma dell’art. 1138, quindi neppure una norma contrattuale del regolamento può modificarlo.

di Ferdinando Della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Agevolazioni e incentivi per i datori di lavoro in condominio

COME FUNZIONANO GLI SGRAVI PER LE ASSUNZIONI 2021
Diversi incentivi sono stati confermati anche per i prossimi mesi e i condominii sono tra i soggetti che possono approfittarne. Attenzione però a rispettare i presupposti previsti.

La legge di Bilancio 2021 ha introdotto e confermato una serie di incentivi per l’assunzione di donne, disoccupati e di giovani under 36.Gli sgravi sono concessi a tutti i datori di lavoro, compresi i condominii. Presupposto fondamentale per poter fruire delle agevolazioni è il rispetto della normativa di riferimento introdotta nella legge di Bilancio 2007 che recita: “i benefìci normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.”

Quindi, per fruire dei benefici contributivi e normativi si è tenuti:

  • al rispetto degli accordi e contratti collettivi;
  • al possesso da parte dei datori di lavoro del DURC;
  • al rispetto di tutti gli obblighi di Legge.

Ulteriori presupposti necessari per usufruire degli incentivi riguardano:

  • non avere in atto sospensioni dal lavoro (D.lgs n. 150/2015);
  • l’assunzione non deve riguardare lavoratori licenziati, nei 6 mesi precedenti;
  • l’assunzione deve risultare spontanea e non in attuazione di un obbligo preesistente stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva;
  • deve essere rispettata la normativa in materia di lavoro.

Gli incentivi che possono essere di maggiore interesse per il settore dei condominii riguardano l’esonero contributivo triennale, già previsto nella legge 205 del 2017, riconfermato nella legge di Bilancio 2021 per il biennio 2021/2022 per l’assunzione con contratto subordinato a tempo indeterminato di giovani di età non superiore a 36 anni di età, privi di precedenti rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. L’esonero contributivo è pari a36 mesi nel centro nord, mentre il periodo si estende a 48 mesi nelle regioni del Mezzogiorno. Viene riconosciuto nella misura del100%, nel limite massimo di seimila euro l’anno. Sono inoltre esclusi i contributi INAIL.

Agevolazioni per le Donne
Questo incentivo già applicato e riconfermato dal 2012, ora viene riproposto con un esonero contributivo del 100% per i contratti a tempo indeterminato o di trasformazione di un contratto da tempo determinato a indeterminato compreso tra il primo gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022,nel limite massimo di seimila euro annui nella legge di Bilancio 2021a sostegno dell’occupazione femminile, mentre per le assunzioni a tempo determinato come previsto dall’art. 8 della legge 92/2012, continuerà ad applicarsi l’esonero contributivo al 50%.Le agevolazioni previdenziali, invece, spettano per le seguenti assunzioni:

–  di donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24mesi ovunque residenti;

– donne di qualsiasi età con una professione di un settore economico con un accentuata disparità occupazionale di genere, prive di un impiego da almeno 6 mesi;

–  donne di qualsiasi età, se residenti nelle regioni ammissibili ai finanziamenti dei fondi strutturali UE e nelle aree ad elevato tasso di disparità uomo-donna (identificate quali Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Sardegna) prive di impiego  regolarmente retribuito da almeno sei mesi;

– donne con almeno 50 anni di età, e disoccupate da oltre 12 mesi.

Questa agevolazione deve comportare inoltre un incremento occupazionale, rispetto alla media dei 12 mesi precedenti.

di Marina Parente, consulente del lavoro per il Magazine Condominio Zero Problemi

LE MOROSITA' IN CONDOMINIO

INQUILINI MOROSI ED ALTRI DEBITORI, QUALE STRADA CONVIENE PERCORRERE?

Molto spesso non è sufficiente veder riconosciute dall’autorità giudiziaria le proprie ragioni ed i propri crediti per essere sicuri automaticamente di ottenere le somme che spettano, poiché non è affatto certo che il debitore voglia pagare spontaneamente a seguito dell’emissione e della notifica del provvedimento che lo condanna al pagamento come ad esempio una sentenza o un decreto ingiuntivo. Accade molte volte infatti che anche con un titolo che riconosce un credito, si è costretti ad intraprendere un altro giudizio, denominato di esecuzione, per ottenere quello che legittimamente spetta.

L’esecuzione di una sentenza o di un decreto ingiuntivo attraverso il pignoramento immobiliare (ad esempio, di un appartamento o un box) o il pignoramento mobiliare (ad esempio dell’arredamento di un negozio) o il pignoramento presso terzi (ad esempio di un conto corrente bancario, di uno stipendio o di una pensione), è finalizzata ad incassare le somme dovute dal debitore. Il pignoramento immobiliare è sovente molto costoso e richiede molto tempo mentre il secondo tipo di pignoramento, quello mobiliare, risulta spesso poco vantaggioso in termini di rientro economico attraverso la vendita delle cose pignorate. Per questi motivi il pignoramento presso terzi è la strada che più spesso si consiglia a chi vuole ottenere le somme dovute e riconosciute dal giudice perché è il procedimento più veloce ed efficace.

Il problema che si pone in questo caso, però, è l’individuazione dei conti correnti, dello stipendio o della pensione da pignorare. Infatti, se è molto facile individuare le proprietà immobiliari di un soggetto attraverso una visura presso il catasto o la conservatoria, non è mai facile né immediato venire a sapere in quale istituto di credito il debitore ha il proprio conto corrente, oppure da chi è stipendiato o da quale ente di previdenza percepisce la pensione. A rendere questa ricerca più puntuale e precisa ci ha pensato il legislatore che con il decreto legge del 12 settembre 2014 n. 132 (convertito con legge 10 novembre 2014 n.162) ha introdotto nel codice di procedura civile l’articolo 492 bis, che permette al creditore, dopo aver notificato al debitore il titolo, e trascorsi dieci giorni dalla notifica dell’atto di precetto di pagamento, a chiedere al presidente del tribunale territorialmente competente l’autorizzazione alla ricerca con modalità telematiche delle informazioni contenute nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, dell’archivio dei rapporti finanziari e degli enti previdenziali.

Ciò significa che, una volta notificato al debitore il titolo e l’atto di precetto di pagamento e trascorsi dieci giorni senza ottenere il pagamento delle somme dovute, il creditore può, tramite il proprio difensore, depositare presso il tribunale competente un’istanza ex art. 492 bis del codice di procedura civile per richiedere l’autorizzazione ad ottenere le informazioni, inerenti il debitore, contenute nelle banche dati suddette.

Solitamente il tribunale emette il provvedimento che accoglie l’istanza (naturalmente se ci sono i presupposti) in poco più di una settimana. Il procedimento, oltre ad essere rapido, è anche particolarmente economico, dovendo il creditore versare un contributo unificato di soli € 43,00, oltre naturalmente ai compensi del difensore. Il provvedimento di accoglimento deve essere poi notificato, a cura del difensore, alla direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate competente territorialmente che, dopo aver quantificato e richiesto al creditore il versamento dei tributi speciali dovuti per la ricerca (mediamente poche decine di euro), provvede ad inviare un report dettagliato nel quale sono indicati, ad esempio, i conti correnti del debitore, la presenza di cassette di sicurezza, i rapporti presso sgr, i contratti di locazione di immobili, le pensioni con la quantificazione esatta delle somme percepite, gli stipendi con l’ammontare versato dal datore. Risulta, dunque, estremamente più semplice determinare con esattezza i terzi destinatari del pignoramento, con, quindi, superiori probabilità di vedere soddisfatto il proprio credito.

di Immacolata Del Pezzo, avvocato per il Magazine Condominio Zero problemi

Consigli pratici per abbellire gli androni e i pianerottoli con spese contenute.

COME DECORARE GLI SPAZI CONDOMINIALI CON STUCCHI IN GESSO
Operazioni semplici per vivere in ambienti più belli e rivalutare l’edificio.

Quasi non ce ne accorgiamo, ma il bello ci avvolge, ci circonda! Perché non portare un po’ di questa bellezza alla soglia dei nostri appartamenti, nell’androne del nostro palazzo, sui pianerottoli? Gli antichi greci e romani si ispirarono alla natura per sperimentare elementi decorativi, definiti “classici”, creando gli ordini architettonici che tutti noi conosciamo: dal più essenziale dorico, passando per lo ionico fino ad arrivare al corinzio.

Alcuni spazi condominiali si prestano alla messa in opera di questi ordini architettonici. Dove si può osare di più si potranno posare delle colonne con basi e capitelli, oppure, in alternativa, delle lesene scanalate decorate da bugne diamantate. Pareti molto ampie possono accogliere pannelli a soggetti differenti: scene di caccia o pesca, scene mitologiche su sfondi bucolici o, ancora, puttini che si librano nell’aria.

Per androni dallo stile più essenziale potranno essere installati dei gusci per rendere più morbido l’angolo a 90° tra parete e soffitto; al di sotto potranno essere aggiunte delle fasce per ampliare la superficie decorata .A campire in modo più gentile lo spazio disponibile si potranno realizzare delle boiseries, composte da un marcapiano centrale a un metro o un metro e cinquanta dal pavimento e, al di sopra e al di sotto, dei riquadri formati da cornici più piccole.

        L’illuminazione indiretta dell’androne poi può essere favorita da un guscio liscio da posizionare tra parete e soffitto e dalla contemporanea presenza al di sotto di un’imposta a sostenere la moderna striscia a led. La stessa cosa può essere riproposta lungo tutte le scale e su ogni pianerottolo. In alternativa si possono utilizzare dei copri lampade singoli per favorire una corretta illuminazione delle scale e di tutti gli spazi comuni.

Non perdiamo l’occasione di accedere a un androne finemente decorato da stucchi in gesso. Oltretutto il gesso, derivato dal più nobile alabastro, impreziosirà le nostre pareti condominiali in modo ecosostenibile e naturale.

di Danila Piacentini,  responsabile della storica bottega "Stucchi Cecere"  per il Magazine Condominio Zero Problemi

REGOLE PER IL BUCATO IN CONDOMINIO

PANNI STESI ALLE FINESTRE, IDEE PER RISOLVERE LE LITI E RISPARMIARE
Il gocciolare del bucato appena steso è da sempre fonte di litigi condominiali furiosi e in molti casi rovina l'estetica dei palazzi. Eppure delle soluzioni di buon senso ci sono.

Passeggiando per le strade del centro storico di molte città, lo sguardo mi va immancabilmente sull'aspetto architettonico dei vari fabbricati. Non posso mai fare a meno di ammirare l'estetica di quel palazzo per poi confrontarlo con quello immediatamente successivo per rilevare le diversità che emergono tra essi. Talvolta capita di trovare condominii trascurati anche se molto belli e cosa peggiore è vederne alcuni con i  panni stesi alle finestre , ai balconi o addirittura sui prospetti di facciata.

La vista di ciò non rappresenta la massima aspirazione per coloro che transitano per quella strada. A mio parere, questa cattiva abitudine, retaggio non ancora dimenticato del passato, ha contribuito al degrado di un qualsiasi immobile e non qualifica certamente i suoi abitanti.

Senz'altro  deprezza il valore commerciale  degli immobili siti in quel condominio.

Non vi è alcun dubbio che ogni abitante di un fabbricato, soprattutto se in condominio, abbia il diritto di stendere i panni e di lasciarli asciugare, ma questo non può essere fatto in maniera indiscriminata e senza controllo. Oltre al buon gusto, si deve tener conto di  quanto previsto dal regolamento condominiale  e da quello di polizia urbana.

Senza poi considerare il disagio al quale sono sottoposti coloro che devono subire lo stillicidio derivante dallo sciorinamento dei panni stesi, spesso molto fastidioso.

Le norme attuali poco aiutano nel fatto di salvaguardia del decoro architettonico di un fabbricato se uno o più condomini stendono i panni a vista. Vi è una tutela solo nei casi in cui lo stillicidio proveniente dai panni stesi  finisca in un'altra proprietà o sulla strada pubblica .

Alcuni comunali o regolamenti condominiali, seppur diversi da città a città, ci vengono in aiuto che limitano a norme che vengono  attività  o facendone addirittura divieto. Queste norme di polizia possono prevedere anche delle sanzioni nei casi di violazione.

Non poche sono le liti tra condomini riconducibili a questa cattiva abitudine, che si vedono gli stessi trascinati in costose e lunghe controversie giudiziarie.

Per ridurre la litigiosità e al contempo migliorare l'estetica ed il decoro dei condominii in cui viviamo è più utile riproporre in versione moderna gli ormai dismessi  locali stenditoi  e le vecchie  lavanderie condominiali , rinnovandoli e rendendoli appetibili all'uso utilizzando prodotti e tecnologie attuali.

Si sta diffondendo da qualche tempo nelle città e in alcuni condominii l'uso della  lavanderia condominiale , abitudine ad esempio consolidato da tantissimi anni nei condominii americani (anche in quelli più blasonati) o nei paesi del nord Europa dove il sole scarseggia. Molte case di elettrodomestici hanno iniziato a vendere anche in Italia apparecchi specifici per questo utilizzo come  lavatrici di grandi dimensioni e asciugatrici . Il loro uso è rivolto non solo al bucato che si fa di solito a casa, ma soprattutto al lavaggio di tessuti come tende, piumoni, coperti, tappeti o altro che di solito si preferisce portare in lavanderia. Tale soluzione contribuirebbe a  ridurre i consumi energetici, soprattutto nelle fasce orarie notturne, ad aumentare gli spazi nelle nostre abitazioni, a migliorare la nostra vita, ma soprattutto la nostra socialità in ambito condominiale.

di Mariolina Servino, Art Director di Condominio Zero Problemi per il Magazine