Posts From aprile, 2023

Canoni di locazione di beni condominiali

La tassazione dei canoni di locazione non riscossi
Uno degli aspetti da tenere in considerazione in caso di stipula di un contratto di locazione riguarda il possibile assoggettamento a tassazione dei canoni di locazione non riscossi.

 

Negli ultimi anni, complice anche la crisi economica, i soggetti conduttori di immobili abitativi   si sono trovati nella situazione di non riuscire più a pagare il canone di locazione. L’inadempimento del conduttore si riflette negativamente sul proprietario dell’immobile, questi, infatti, è tenuto a dichiarare anche i canoni di locazione non riscossi, è chiamato ,quindi, a versare le imposte , in quanto la legge impone la tassazione dei canoni di locazione immobiliare abitativa, a prescindere dalla loro effettiva percezione. Per questi redditi è prevista la tassazione secondo il “principio di competenza“.

Tuttavia, la normativa fiscale prevede la possibilità di esentare il locatore dalla dichiarazione dei canoni di locazione non riscossi a partire dal momento della notifica dell’intimazione dello sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento senza dover attendere, come prevedeva il testo prima della modifica, la conclusione della procedura di sfratto per morosità. Il D.L. 34/2019 ha introdotto una prima modifica del disposto permettendo al proprietario di non pagare le imposte sui canoni di affitto non percepiti a partire dalla data di notifica di una ingiunzione di pagamento o di intimazione di sfratto per morosità senza dover attendere l’esito della procedura di sfratto , l’emendamento del decreto sostegni DL 41/2021 ha stabilito che lo sconto Irpef per le somme non percepite dai proprietari decorre a partire dal 1° gennaio 2020 indipendentemente dal momento in cui è stato stipulato il contratto.

 

Per il proprietario si possono presentare due situazioni:
  1. se la comunicazione di intimazione di sfrattoavviene entro il 30 novembre (termine di presentazione del modello Redditi) è possibile evitare la tassazione del canone relativo all’anno di imposta, oggetto della dichiarazione. In questo caso deve essere compilato in modo particolare il quadro relativo ai redditi fondiari. E’ necessario indicare il codice 4 nellacasella 7 (“casi particolari“). In questo modo viene assoggettata a tassazione la rendita catastale rivalutata dell’immobile. Qualora il canone di locazione sia stato percepito solo per una parte dell’anno, deve essere compilato un unico rigo, riportando solo la quota di canone effettivamente percepita, in colonna 6.
  2. Qualora il provvedimento arrivi oltre il 30 novembre, i canoni di locazione non riscossi devono essere soggetti a tassazione. Quindi, il canone di locazione non riscosso rimane comunque soggetto ad IREPF o a Cedolare Secca. In questo caso, al contribuente sarà riconosciuto un credito d’imposta. Tale credito risulta essere pari alle imposte pagate a causa dell’indicazione in dichiarazione dei canoni.

Per determinare la misura del credito è necessario riliquidare le dichiarazioni delle annualità dove tali canoni sono stati tassati, sostituendo al reddito proveniente dal canone, la rendita catastale rivalutata dell’immobile. Tale credito, una volta determinato, deve essere riportato nel quadro CR, al rigo CR8 e può essere utilizzato a riduzione della tassazione dell’anno.

I canoni percepiti dal locatore in periodi di imposta successivi a quello cui i canoni si riferiscono, dovranno essere assoggettati a tassazione separata.

Il modo più semplice per evitare di dover anticipare le tasse sui canoni non percepiti è quello di inserire nel contratto di locazione una clausola che consente al proprietario di risolvere il contratto in modo automatico, senza doversi rivolgere al giudice, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva espressa risolve anticipatamente il contratto nel caso di morosità dell’inquilino, in questo caso il proprietario può eccepire alla Agenzia delle Entrate la risoluzione del contratto

Francesca Bonanata, commercialista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Transazione e millesimi condominiali

La transazione non può derogare i criteri di ripartizione delle spese
L’assemblea è competente a deliberare a maggioranza solamente la transazione riguardante il pagamento di una spesa ma non la modifica dei criteri di ripartizione delle spese legalmente o convenzionalmente stabiliti per la quale è necessario il consenso unanime dei condomini.

 

In materia di criteri di ripartizione delle spese condominiali, la regola di base per la quale gli oneri vanno suddivisi in proporzione al valore millesimale delle singole proprietà può essere derogata solo da una convenzione approvata all’unanimità dei condomini.

In tema di condominio negli edifici “ove manchi una diversa convenzione adottata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123, primo comma, c.c.” (Cass. sent. n. 27233/2013).

Tali principi hanno spesso rilievo quando l’assemblea deve decidere di trovare un accordo, cioè transigere, su una lite già sorta e in essere o magari anche solamente per prevenirla.

Sul punto è più volte intervenuta anche la suprema Corte di Cassazione affermando che “in tema di condominio negli edifici, ai sensi dell’art. 1135 c.c., l’assemblea può deliberare a maggioranza su tutto ciò che riguarda le spese d’interesse comune e, quindi, anche sulle transazioni che a tali spese afferiscano, essendo necessario il consenso unanime dei condomini, ai sensi dell’art. 1108 c.c., comma 3, solo quando la transazione abbia ad oggetto i diritti reali comuni (Cass. sent. n. 821/2014; Cass. sent. n. 1234/2016); l’assemblea può delegare lamministratore a transigere, indicando i limiti dell’attività dispositiva affidatagli (Cass. sent. n. 1994/1980).

In merito alla maggioranza necessaria per approvare un accordo transattivo, si ritiene applicabile l’art. 1136 c. 4 c.c. che fa riferimento alle liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore perché, se l’assemblea può deliberare su una controversia, è legittimata anche a transigere detta controversia. Stessa maggioranza si riscontra nell’articolo 71 quater co. 5 Disp. Att. c.c., dettato in materia di mediazione, per il quale la proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136 c. 2 c.c. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).

L’obbligo dei condomini al pagamento delle spese che derivano dalla transazione non discende dall’efficacia soggettiva del contratto che è alla base della richiesta, ad es. un contratto di appalto lavori (ex art. 1372 c.c.) ma discende dalle norme in materia di condominio e, precisamente,  dall’art. 1118  c.c. (secondo cui il condomino non può sottrarsi al pagamento delle spese per la conservazione delle parti comuni) e dall’art. 1123 c.c. (a mente del quale l’obbligo di contribuzione è proporzionale ai millesimi di proprietà o in base all’uso se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa) (Cass. sent. n. 10371/2021).

L’assemblea è competente a deliberare a maggioranza solamente la transazione riguardante il pagamento di una spesa ma non la modifica dei criteri di riparto legalmente o convenzionalmente stabiliti per la quale è necessario il consenso unanime dei condomini.

Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 27511/2022) che ha accolto il ricorso di un condomino avverso alla sentenza della Corte di Appello che aveva ritenuto valida la delibera con la quale il condominio aveva approvato, a maggioranza, una transazione per definire un contenzioso esistente tra l’ente e una “fruitrice esterna” della piscina condominiale che, per regolamento, veniva considerata “condomina”.

La transazione prevedeva che quest’ultima avrebbe partecipato in modo forfettario per spese ordinarie della manutenzione della piscina e nella misura del 10% di quelle straordinarie.

Il condomino impugnava la delibera sul presupposto che la signora fosse a tutti gli effetti una condomina e, pertanto, dovesse partecipare alle spese in proporzione alla propria quota millesimale e non nella misura forfettaria prevista nella delibera in contestazione.

Il giudice di primo grado rigettava l’impugnativa e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello sul rilievo che la deliberazione sarebbe stata “legittimata dalla previsione di cui all’articolo 1123, comma primo del codice civile, che prevede la possibilità di una diversa pattuizione rispetto alla regola generale di partecipazione alle spese da parte del condomini in proporzione alle quote di loro proprietà”.

La delibera in questione, precisava la Corte di merito, non integrava “una modifica del regolamento e delle tabelle millesimali ma una specifica convenzione motivata dal suddetto intento transattivo e dalla particolarità di una determinata situazione soggettiva ed oggettiva”.

L’intento transattivo, però, non era in grado di giustificare una deroga, deliberata a maggioranza, ai criteri di ripartizione degli oneri condominiali stabiliti dalla legge che richiede, invece, il consenso unanime dei partecipanti al condominio.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e cassava l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello, in altra composizione, per regolare anche le spese del giudizio di legittimità.

di Luana Tagliolini, giornalista esperta in materia condominiale per il Magazine Condominio Zero Problemi

Terrazzi privati in condominio

Mettiamo i puntini sulle… VEPA
Quando e con quali limiti si possono montare le vetrate panoramiche amovibili (c.d. VEPA)? Il decreto aiuti bis ha modificato la materia e ha stabilito alcuni paletti da conoscere prima di avviare i lavori per non incorrere in sanzioni.

 

La recente legge n. 142 del 21 settembre 2022 nel convertire il decreto legge 115 dell’agosto scorso (meglio conosciuto come “decreto aiuti bis”) ne ha modificato alcune parti introducendo, tra gli altri, l’art. 33-quater che va a modificare l’art.6 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380).

La modifica interessa un argomento che da diversi anni è oggetto tra gli addetti ai lavori di varie interpretazioni, più meno condivisibili, e precisamente le vetrate panoramiche amovibili, le cosiddette VEPA, che oggi sono inserite tra le attività di edilizia libera, cioè tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.

Analizziamo l’art. 6 del d.P.R. 380/01 che alla luce della recente modifica recita, nelle parti che interessano l’argomento trattato:

Art. 6 (L) – Attività edilizia libera 1. Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo […] b-bis) gli interventi di realizzazione e installazione di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti, cosiddette VEPA, dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche dei balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio, purché tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile. Tali strutture devono favorire una naturale microaerazione che consenta la circolazione di un costante flusso di arieggiamento a garanzia della salubrità dei vani interni domestici ed avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche;”

Appare subito chiaro che le attività di edilizia libera debbano comunque rispettare le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali (il piano regolatore generale) e delle altre normative di settore, e che nello specifico le VEPA debbano assolvere a precise funzioni e rispondere a determinate caratteristiche.

In primis la realizzazione e l’installazione delle VEPA deve assolvere a funzioni temporanee di:
  • Protezione dagli agenti atmosferici;
  • Miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche;
  • Riduzione delle dispersioni termiche;
  • Parziale impermeabilizzazione dalle acque atmosferiche.
In secondo luogo non devono:
  • Configurare spazi stabilmente chiusi o modificarne la destinazione d’uso (ad esempio non è possibile trasformare il balcone o la loggia in una veranda, così come non è possibile “ampliare” il soggiorno o la cucina o la camera rimuovendo gli infissi).
Infine devono:
  • Favorire una naturale microaerazione (lasciare uno spazio di alcuni millimetri tra le lastre di vetro garantirebbe il requisito);
  • Avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche (sono escluse soluzioni a più riquadri intelaiati).

di Federico Tudini, geometra per il Magazine Condominio Zero Problemi

Verde in condominio

Come si valuta la stabilità di un albero?
Le nostre città e i nostri parchi sono sempre più spesso vittime di cedimenti degli arbusti più vecchi o malati che cadendo possono provocare gravissimi danni. Esistono delle procedure precise per accertare quale sia la pericolosità e, quindi, la stabilità di un albero che è opportuno conoscere e saper richiedere a un agronomo.

 

La valutazione della stabilità delle piante segue la metodologia VTA (Visual Tree Assessment, valutazione visiva dell’albero su basi biomeccaniche). Il Visual Tree Assessment è una metodologia di indagine, riconosciuta in molti Paesi, e adottata da vari Comuni italiani,  che viene eseguita per la valutazione delle condizioni strutturali dell’albero.

La valutazione di stabilità di un albero consiste nella identificazione tassonomica e nella descrizione morfologica, anatomica, biologica, fitopatologica e meccanica dell’albero al fine di determinarne la pericolosità, intesa come propensione al cedimento strutturale integrale o parziale.

Fine ultimo dell’indagine è stabilire il grado di pericolosità degli alberi presi in esame attribuendo loro una classe di propensione al cedimento all’interno di una scala di quattro valori definita dalle lettere che vanno dalla A  (rischio trascurabile) alla D (rischio estremo).

La valutazione di stabilità di un albero, in quanto analisi peritale, deve essere condotta da professionisti in possesso dei requisiti di legge (iscrizione agli albi professionali di riferimento) e con adeguata esperienza specifica comprovata a livello curriculare, sia come formazione che come prestazioni svolte. Generalmente il tecnico segue un “protocollo di indagine”, comunemente riconosciuto, messo in pratica dal gruppo di studio dei soci delle Società Italiana di Arboricoltura, che si divide in cinque passaggi.

La valutazione di stabilità step by step

 

  1. Oggetto e scopo della valutazione di stabilità degli alberi

Oggetto della valutazione di stabilità sono gli alberi in qualsivoglia sito, considerati ed esaminati singolarmente.

  1. Procedure di valutazione di stabilità degli alberi

La valutazione di stabilità di un albero ha inizio con un’analisi visiva dell’albero che può essere integrata da approfondimenti diagnostici e/o strumentali sulla base della sintomatologia riscontrata. L’analisi visiva consiste sempre in un’ispezione dettagliata dell’albero e della stazione in cui esso vegeta. Ciò richiede che il valutatore si muova intorno a tutto l’albero, osservando il sito, il colletto, il tronco e i rami. L’analisi visiva può includere l’uso di semplici strumenti al fine di acquisire ulteriori informazioni in merito alle condizioni dell’albero ed ai suoi difetti. L’analisi visiva consiste ordinariamente in una ispezione svolta a terra; i fattori interni dell’albero (al di sotto del piano campagna, o in quota, nella porzione superiore della chioma) possono essere non visibili o di difficile valutazione e quindi possono rimanere indeterminati. Indagini di natura visuale effettuate in chioma o ispezioni a livello radicale sono da considerarsi alla stregua di approfondimenti strumentali. La valutazione di stabilità di un albero si conclude con l’attribuzione della classe di propensione al cedimento (si fa riferimento classi di propensione al cedimento della Sia) ed è riferibile solo alle caratteristiche strutturali dell’albero indipendentemente dal bersaglio che attiene alla valutazione del rischio e potrà essere considerata separatamente se richiesto dal committente. La valutazione di stabilità ha una validità temporale e fissata a discrezione del valutatore. Tale validità (turno di ricontrollo) non potrà essere superiore a quanto indicato dalla classe di propensione al cedimento a cui viene attribuito l’albero. La valutazione, tuttavia, è riferita alle condizioni verificate al momento del rilievo temporale della valutazione e quindi coincide con il turno di ricontrollo, fatto salvo il verificarsi di cambiamenti molto particolari quali eventi meteorologici estremi, l’insorgenza di patologie o lo svolgimento di attività sull’albero o intorno ad esso, che possono modificare, successivamente alla valutazione, le condizioni e la propensione al cedimento dell’albero stesso. L’abbattimento di soggetti morti o fortemente deperienti con scarse prospettive di vita può essere prescritto, purché tale parere venga espresso con le motivazioni che gli sono proprie.

  1. Restituzione dei dati al committente

Le fasi della valutazione di stabilità (anamnesi, diagnosi, prognosi, prescrizioni) saranno descritte in una specifica relazione tecnica, datata e sottoscritta dal rilevatore, accompagnata da una scheda sintetica di riferimento e da fotografie. Con indicazioni della classe di propensione al cedimento.

  1. Prescrizioni, cure colturali e indicazioni tecnico-operative

Negli elaborati e nella scheda VTA saranno individuate le operazioni agronomiche ed arbori colturali per mantenere o migliorare lo stato nutrizionale, fitosanitario e statico dell’albero.

  1. Limiti della valutazione di stabilità

La valutazione di stabilità comporta intrinsecamente un grado di incertezza, connaturato in maniera incomprimibile alla natura vivente dell’albero e alla ancora limitata conoscenza dei processi naturali, all’incapacità di predire l’intensità degli eventi climatici e le loro conseguenze potenziali sugli alberi.

La valutazione di stabilità ha lo scopo di valutare la pericolosità degli alberi e non il rischio connaturato alla convivenza di alberi e uomini, la cui analisi e valutazione è oggetto di specifiche procedure.

È necessario distinguere ruoli e responsabilità tra le figure coinvolte nella gestione dell’albero: il gestore dell’albero, il valutatore della stabilità e l’arboricoltore che attua le prescrizioni impartite dal valutatore.

I piccoli rami o le ramificazioni di modesta importanza non sono oggetto di indagine. Il cosiddetto secco fisiologico può dare origine a distacchi e cedimenti che in qualche modo potrebbero anche essere pericolosi ma sono oggetto degli interventi colturali ordinari delle alberate

 

Conclusioni

In conclusione potremmo paragonare la VTA a cui sottoponiamo il nostro albero, come alla revisione periodica che facciamo alla nostra automobile. Spesso può essere solo un adempimento burocratico, ma a volte può fornirci indicazioni su difetti importanti in atto a cui non avevamo posto attenzione per abitudine.

di Gino Francesco Vannucci, agronomo per il Magazine Condominio Zero Problemi

Fotovoltaico e Condominio

Il condomino può installare il fotovoltaico sul tetto condominiale?
In questo particolare periodo storico una problematica comune di tutti coloro che vivono in condominio è come ridurre la propria bolletta energetica per pagare meno e, pertanto, (anche) la possibilità di installare il fotovoltaico sul tetto condominiale.

 

Sempre più frequenti sono le richieste di installazione su parti comuni del condominio, tetto e lastrici solari, di installare un impianto fotovoltaico sul tetto condominiale ad uso esclusivo di un’unica unità immobiliare. Facciamo un po’ di chiarezza in merito e vediamo se è possibile l’installazione e quali sono le modalità.

Vediamo, innanzitutto, cosa dice il codice civile in merito alla possibilità di installare un pannello fotovoltaico sul tetto condominiale. Gli articoli 1102, 1120 e 1122 bis ci vengono incontro per risolvere il problema ed evitare preventivamente inutili e costosi contenziosi che potrebbero sorgere tra le parti interessate, condominio e condomino che fa la richiesta.

Dalla lettura delle norme sopra menzionate si evince che chiunque faccia parte di un condominio può fare uso della cosa comune, ma deve garantire lo stesso uso agli altri condomini, art. 1102. L’art. 1120 si riferisce all’installazione di un pannello fotovoltaico e solari e altre fonti energetiche rinnovabili a servizio comune di tutti i condomini.

Mentre, l’art. 1122 bis è quello che più ci riguarda per il caso specifico in quanto si riferisce all’installazione “di impianti non centralizzati di ricezione televisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare”. Quindi si evince che è possibile per il singolo condomino installare un impianto fotovoltaico a proprio uso esclusivo!

Vediamo però quale deve essere l’iter corretto da seguire.

Il condomino interessato deve necessariamente effettuare una comunicazione preventiva all’amministratore, indicando in modo dettagliato cosa intende effettuare e come pensa di realizzarlo, fornendo la documentazione relativa per la realizzazione dell’opera.

L’amministratore è tenuto, una volta ricevuta la richiesta e ottenuta la relativa documentazione, a convocare l’assemblea condominiale per metterla a conoscenza della richiesta che gli è pervenuta e perché la stessa possa deliberare in merito, ma alle sole “eventuali modalità alternative di esecuzione delle opere proposte”, o “per la salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell’edificio”.

Pertanto, se viene rispettato quanto previsto dall’art. 1102 del codice civile e sono rispettate le condizioni sopra riportate l’assemblea non può assolutamente impedire l’installazione dei pannelli fotovoltaici sulle parti comuni.

di Claudio Buzzi, responsabile amministrativo Condominio Zero Problemi

Finestre in condominio

Come fare per aprire una nuova finestra in condominio
Capita spesso che un condomino desideri aprire una nuova finestra in condominio per illuminare la sua abitazione ma per farlo servono alcune accortezze per evitare di incorrere in spiacevoli situazioni che obbligherebbero al ripristino della situazione ante operam.

 

Una problematica che talvolta si presenta durante la ristrutturazione di un immobile privato è la necessità di trasformare una finestra in una portafinestra o addirittura l’apertura di una nuova finestra in condominio o sui prospetti di facciata.

Senza tenere conto delle motivazioni che portano a decisioni di questo tipo, vediamo se un’operazione del genere – quale l’apertura di una finestra in condominio o la trasformazione di quest’ultima in una portafinestra – è fattibile o meno e quali potrebbero essere i passi necessari da effettuare da parte del proprietario dell’immobile per cercare di ottenere quanto desiderato.

La trasformazione di una finestra in portafinestra è senza dubbio un’operazione più fattibile e con meno impatto estetico rispetto all’apertura di una finestra, ma la procedura da seguire è identica.

Operazioni del genere non sono vietate espressamente dalle norme ma è necessario effettuare dei passi preliminari alla loro realizzazione per non incappare in successive spiacevoli situazioni, che potrebbero risultare molto costose oltre che l’obbligo di ripristinare lo stato originario del prospetto di facciata modificato.

Va fatta innanzitutto una considerazione preliminare in merito alla definizione di “decoro architettonico”. In una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6397/1979, emerge che i casi di violazione del decoro architettonico bisogna valutarli non in senso assoluto, ma in base alle caratteristiche degli edifici. Dal che può verificarsi che un’opera realizzata su un edificio potrebbe essere ritenuta corretta in quell’immobile rispetto alla stessa opera realizzata su un altro condominio.

Inoltre, facendo un esame più approfondito della giurisprudenza, possiamo rilevare che non si trovano norme che stabiliscono in modo ineluttabile come deve essere una modifica del decoro architettonico. L’unica cosa che emerge di certo è il “pregiudizio economico che comporti un deprezzamento dell’intero fabbricato” o di “porzioni in esso comprese”.

Lo scopo deve essere sempre quello di preservare l’aspetto esteriore del condominio, infatti l’art. 1120 del Codice civile recita: “Sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato che ne alterino il decoro architettonico ….”. Da ciò ne consegue che l’estetica è un bene da proteggere. Vediamo adesso come procedere.

Per prima cosa bisogna sempre verificare cosa riporta in merito il regolamento condominiale, specie se è di natura contrattuale. Se il regolamento vieta espressamente la modifica dei prospetti di facciata è opportuno rinunciare sin da subito alla realizzazione delle opere, se non si vuole andare in giudizio e risultare quasi certamente soccombenti.

Se invece non è riportato nulla al riguardo è opportuno contattare l’amministratore del condominio e tastarne il polso, sentendo il suo parere. Si otterranno delle informazioni sulla fattibilità o meno, anche in base al grado di litigiosità del condominio.

È da tenere presente che in base al disposto della Corte di Cassazione, n. 14626/2010, l’amministratore è autorizzato “senza necessità di autorizzazione dell’assemblea condominiale, a instaurare un giudizio per la rimozione di finestre da taluni condomini aperti abusivamente in contrasto con il regolamento condominiale, sulla facciata dello stabile condominiale …”.

Da tenere in considerazione che anche un singolo condomino, in caso di violazione del regolamento condominiale, è legittimato ad agire in giudizio a tutela della cosa comune, come emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 28465/2019.

Il consiglio che ci sentiamo di dare è di sottoporre la richiesta all’assemblea condominiale per richiederne l’autorizzazione, piuttosto che andare in aperto contrasto con il condominio.

Nella richiesta un aspetto importante è che esiste una grande differenza se l’apertura verrà effettuata sulla facciata principale, modificandone la simmetria o su una delle facciate laterali o interne.

Una volta in assemblea non basta esporre le proprie intenzioni, ma se si vuole ottenere il consenso, è opportuno che ci sia il supporto grafico di elaborati, predisposti da un tecnico, dai quali si evinca la situazione attuale e quella post opera. Tale operazione è indispensabile per far emergere in assemblea l’impatto estetico delle opere e mettere così in condizione i condomini ad autorizzare o meno il richiedente.

Prima di dare inizio a tutto è necessario sentire il parere di un legale esperto del settore immobiliare.

di Mariolina Servino, art director del Magazine Condominio Zero Problemi

I decreto ingiuntivo

In condominio il decreto ingiuntivo è immediatamente esecutivo

Se guardiamo con attenzione a cosa ha previsto il legislatore ci accorgiamo che il decreto ingiuntivo emesso secondo l’articolo 63 delle disposizioni attuative del codice civile deve esser considerato immediatamente esecutivo “nonostante opposizione”. Un particolare che spesso in giurisprudenza viene dimenticato.

La mia tesi è una provocazione apparentemente paradossale, sapendo bene che quanto sto per scrivere costituisce una rottura traumatica con un sistema radicato (incancrenito?) da decenni. Da sempre.

Il mio ragionamento è probabilmente sbagliato, ma potrebbe essere anche un sasso nello stagno, potrebbe causare delle piccole onde che a volte, anche dopo anni, potrebbero incrinare i convincimenti anche più consolidati.

Prendo spunto ancora una volta da una lezione illuminante di diversi anni fa dell’avvocato Nunzio Izzo. Egli ha sempre affermato con forza e a ragion veduta che il diritto condominiale sia un unicum, un mondo a sé stante, per il quale l’applicazione delle norme relative ad altri istituti di diritto è una forzatura, che a volte ci fa deragliare.

Anche il decreto ingiuntivo in materia condominiale è un mondo a sé stante. Ma tutto ciò non viene detto e soprattutto non viene riconosciuto.

Il decreto ingiuntivo in materia condominiale è disciplinato dall’articolo 63 delle disposizioni attuative del codice civile, che è norma speciale e quindi diversa e derogativa rispetto alla normativa generale dei decreti ingiuntivi prevista dagli articoli. 633 e seguenti del codice di procedura civile.

Difatti il decreto ingiuntivo in materia condominiale è per espressa previsione di legge immediatamente esecutivo, non provvisoriamente esecutivo. Perdonatemi le continue citazioni, ma non intendo appropriarmi di idee altrui. L’avvocato Izzo sosteneva, con la sua abituale veemenza, che noi avvocati dovremmo fare la massima attenzione a questa differenza e lottare affinché i giudici provvedano di conseguenza.

Non solo: il decreto ingiuntivo in materia condominiale è immediatamente esecutivo nonostante opposizione. Si badi bene: l’art. 63 delle disp. att. c.c. è inderogabile per espressa disposizione dell’art. 72 contenuto nelle stesse disposizioni. È quindi norma speciale e inattaccabile. Eppure mi sembra che tutti noi abbiamo cancellato dalla mente e quindi dai nostri scritti l’inciso “nonostante opposizione”.

In certe situazioni lavorative agiamo quasi con il pilota automatico, ritenendo, almeno nei fatti se non consciamente,  che “immediatamente” e “provvisoriamente” siano sinonimi: ma se il legislatore ha usato due avverbi dal significato diametralmente diverso, se il legislatore ha ritenuto di specificare che il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali è immediatamente esecutivo nonostante l’opposizione, se addirittura i due istituti sono in due codici diversi, la logica prima ancora che il diritto vuole che il legislatore abbia operato una scelta ben precisa, voluta, disciplinando in modo differente situazioni differenti.

Per cui – se diamo alle parole il significato che esse hanno, se abbandoniamo i preconcetti stratificati da anni  – i decreti ingiuntivi emessi ex art. 63 disp. att. c.c. non sono provvisoriamente esecutivi. Sono immediatamente esecutivi. E rimangono esecutivi nonostante l’opposizione.

Il comma 4 dell’art. 5  del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 statuisce :  “I commi 1bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione …”. L’art. 649 c.p.c. prevede la possibilità che il magistrato sospenda l’esecuzione provvisoria del decreto concessa a norma dell’art. 642 c.p.c.. Ma la stessa facoltà non è concessa dal legislatore nel caso dei decreti ingiuntivi emessi immediatamente esecutivi in forza dell’art. 63 disp. att. c.c..

Quindi nel caso di giudizio di opposizione ai decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi in materia condominiale non vi deve essere alcuna pronuncia sulla “concessione o sospensione della provvisoria esecuzione” perché non vi è una provvisoria esecuzione.

Altra conseguenza logica: nei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi non si applicano i commi 1 bis e 2 dell’art. 5 comma 1 bis del decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28, cioè non si è tenuti a svolgere la procedura di mediazione.

di Ferdinando Della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi