Posts From giugno, 2023

Balconi e fotovoltaico

I pannelli fotovoltaici da balcone
Quanto costano, come si installano, quanto si risparmia e che le autorizzazioni servono per i pannelli fotovoltaici da balcone. Facciamo chiarezza su questo strumento utilissimo che taglia bollette ed emissioni insieme a un'esperta di energia.

 

Spesso siamo portati a pensare che per usufruire delle energie rinnovabili nelle nostre case bisogna passare necessariamente per impegnativi e costosi lavori di ristrutturazione, installare impianti complessi e magari chiedere autorizzazioni particolari al condominio o all'amministrazione locale. Questo è in parte vero quando si vuole mettere in piedi un impianto di grande portata ma per gli impianti domestici oggi è tutto molto più semplice anche se non sempre alla portata economica di tutti. Oggi, però, esistono strumenti molto più economici e di facile installazione che si possono adattare senza nessun lavoro particolare al nostro impianto e farci risparmiare soldi ed emissioni nocive in pochi velocissimi passaggi. Uno di questi strumenti è il “pannello da balcone”,

 

Ne parliamo con Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente che nei mesi scorsi ha portato in giro per l'Italia la campagna #UnPannelloInPiù, volta proprio a sensibilizzare gli italiani all'uso dei pannelli fotovoltaici da balcone casalinghi.

 

Cosa sono i pannelli “Plug&Play”?

Sono dei pannelli solari fotovoltaici a tutti gli effetti studiati per essere installati sui balconi delle case o sui muri sotto le finestre (uguali ai condizionatori che vediamo sui palazzi) senza dover ricorrere a impianti più costosi sul tetto o sul lastrico solare dell'abitazione. Sono fatti per essere agganciati in tutta sicurezza alla ringhiera del balcone e non servono necessariamente un tecnico per metterli in funzione.

 

Come funzionano concretamente?

I pannelli fotovoltaici da balcone forniscono corrente direttamente alla rete elettrica di casa ma non la immagazzina. Questo significa che nelle ore di sole avremo a disposizione una certa quantità di energia elettrica prodotta in modo pulito che verrà consumata dagli apparecchi che avremo in funzione.

 

Quanto si risparmia installando uno di questi pannelli?

Dipende chiaramente dal pannello, da quanto sole riceve durante il giorno ma anche dagli stili di vita adottati. In questo caso ad esempio dovremo spostare i consumi di casa nelle ore in cui il pannello può coprirli. Ad esempio una lavatrice. Ma si può arrivare a un risparmio fino al 25% dei consumi di corrente elettrica.

 

Come si collega un pannello del genere all'impianto di casa?

È una cosa molto semplice: si può banalmente attaccare a una presa di corrente dedicata e il pannelli fotovoltaici da balcone immetterà l'energia prodotta nell'impianto elettrico attraverso il contatore, anche se il modo più efficiente è quello di chiedere all'elettricista di collegare con un cavo dedicato il pannello direttamente al quadro dell'elettricità di casa. È un'operazione semplicissima che costa intorno ai cento euro, spesa assorbile grazie al risparmio in poco tempo.

 

Quanto costa un pannello?

Di pannelli solari da balcone o da giardino non esistono di diversi tipi. Diciamo che un buon pannello si compra già intorno ai 5/600 euro, a seconda della potenza. Parliamo comunque di strumenti che già con queste cifre comportano un effetto significativo sui consumi casalinghi. Prima grazie alle detrazioni fiscali e alla cessione del credito era una spesa certamente più facile. Però rimane una cifra di tutto rispetto. Consideriamo una spesa di 600 euro per il pannello, più diciamo 250 euro per installazione ed elettricista. Siamo ad una spesa totale di 850 euro. Il costo medio della spesa energetica elettrica è passato in questi anni da 600 a circa 1.900 euro l'anno. Il 25% di risparmio sono 475 euro circa, vuol dire ripagare il pannello in poco meno due anni.

 

Serve chiedere un'autorizzazione al condominio o al gestore della rete?

No, nessuna autorizzazione. Sono equipaggiati ai condizionatori. Quindi nessuna autorizzazione. Quello che va fatto è inviare una comunicazione e stare ovviamente attenti ai regolamenti condominiali o a quelli comunali nei casi di centri storici o edifici vincolati. Ma è importante ricordare che ormai installare un pannello solare sul tetto, anche condominiale, è considerata attività libera. E che da molti anni non è necessaria l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, tutti ne hanno diritto (escluse eventuali criticità tecniche).

Tornado agli impianti più piccoli, una volta installato e attivato il pannello bisogna solo ricordarsi di registrarsi sul portale del distributore locale come autoproduttori di energia da fonti rinnovabili con pannello plug&play.

 

C'è un effetto concreto sull'inquinamento o serve solo a risparmiare qualcosa in bolletta?

Il pannello fotovoltaico da appartamento rappresenta uno strumento concreto dal grande potenziale. Considerando solo le abitazioni classificate come civili (A/2) ed economiche (A/3), parliamo di circa 23 milioni di potenziali balconi o superfici verticali che possono ospitare impianti di questo tipo. Se solo il 20% di questi appartamenti si dotasse di un pannello fotovoltaico sul proprio balcone o finestra, si eviterebbe l'immissione in atmosfera di oltre 600mila tonnellate di CO2 all'anno, pari a quella assorbita da una foresta di circa 35 milioni di alberi . Ogni pannello evita l'immissione in atmosfera di 145Kg di CO2 all'anno, equivalenti alla quantità di CO2 assorbita da circa 10 alberi.

 

di Andrea Battistuzzi, giornalista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Certificazioni energetiche e Fotovoltaico

Le regole europee sulla certificazione energetica
Con lo sforzo di arrivare a un'economia a basse emissioni inquinanti, l'UE si è dotata di norme che insieme l'efficientamento e la relativa certificazione energetica degli edifici, anche privati. Ecco cosa indicazioni e quali cambiamenti porteranno.

 

Le indicazioni della Comunità Europea sull'adeguamento e certificazione energetica di tutti gli edifici hanno lo scopo di migliorare il risparmio energetico.

L'UE ha infatti consigliato la direttiva 2010/31/UE sull'efficienza energetica degli edifici, che richiede agli Stati membri di adottare misure per  aumentare l'efficienza energetica  degli edifici esistenti e dei nuovi uffici.

L'obbiettivo principale della direttiva è quello di ridurre il consumo energetico degli edifici e le relative emissioni di CO2 migliorando la qualità dell'aria interna e il confort degli occupanti. Per raggiungere questo obiettivo, la direttiva prevede una seria di misure da adottare, tra cui  l'obbligo di certificare l'efficienza energetica degli edifici,  l'adozione di requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici, l'obbligo di ristrutturare gli edifici esistenti in modo che soddisfino questi requisiti, e l'obbligo di promuovere la riqualificazione degli stessi.

In generale, l'adozione di queste misure può portare a un miglioramento del risparmio energetico degli edifici, riducendo i costi energetici e le emissioni di CO2 e  migliorando la qualità dell'aria  interna e il confort degli occupanti.

Inoltre, la ristrutturazione energetica degli edifici esistenti può anche creare nuovi posti di lavoro e stimolare l'economia locale, offrendo quindi vantaggi a lungo termine per la società nel suo complesso.

L'obbiettivo principale che si vuole raggiungere, ribadito di recente dalla stessa UE, è soprattutto quello di ridurre i consumi energetici degli edifici, contribuendo così alla riduzione delle emissioni di gas serra e alla lotta al cambiamento climatico, ma anche quello di ridurre l' attuale dipendenza degli Stati membri dell'UE da soggetti esterni.

Tra i requisiti troviamo: la definizione di requisiti minimi di prestazione energetica per i nuovi e vecchi edifici; l'obbligo di effettuare una valutazione dell'efficienza energetica degli edifici esistenti; la promozione di misure volte ad aumentare l'efficienza energetica degli edifici pubblici; la promozione dell'utilizzo delle fonti rinnovabili di energia nei nuovi edifici e in quelli esistenti che subiscono ristrutturazioni.

La direttiva sulla certificazione energetica ha subito una revisione nel 2018 introducendo ulteriori disposizioni tra le quali:

  • l'estensione degli obblighi di valutazione dell'efficienza energetica degli edifici alle grandi imprese.
  • l'obbligo di prevedere punti di ricarica per veicoli elettrici nei parcheggi di nuove costruzioni.

In sintesi la nuova normativa comunitaria si concentra sull'aumento dell'efficienza energetica e sulla promozioni di fonti rinnovabili, argomenti ribaditi dalla recente revisione della direttiva, che ha introdotto ulteriori disposizioni per migliorare il risparmio energetico degli edifici e favorire la transizione verso una economia  a basse emissioni  di carbonio.

 

di Giovanni Romani, agente immobiliare per il Magazine Condominio Zero Problemi

Fotovoltaico e diritti

I diritti dei condomini a installare un impianto fotovoltaico
Non sussiste alcun interesse da parte dei condomini ad impugnare una delibera che neghi l'autorizzazione all'installazione di un impianto fotovoltaico quando quest'ultima non è necessaria.

 

Il condomino che intende procedere alla istallazione, su una superficie comune, di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, che non renda necessaria la modifica delle parti condominiali, può procedere, nel proprio interesse ed a proprie spese, senza richiedere alcuna preventiva autorizzazione dell'assemblea (articolo 1122-bis co. 3 cc)

La delibera assembleare che neghi l'autorizzazione non necessaria non può essere impugnata dal condomino installatore perché non ha alcuni interessi ad agire.

Un parere contrario all'intervento che non sia di ostacolo all'installazione, non genera alcun pregiudizio concreto ai suoi diritti tale da legittimare la richiesta del suo annullamento in quanto assume carattere di superfluità o, comunque, solo valenza consultiva e non decisoria (Corte di Cassazione, ordinanza n.1337/2023).

Il caso

L'assemblea del condominio aveva espresso “voto contrario” all'approvazione di un progetto per l'installazione di dodici pannelli fotovoltaici su parte comune condominiale, comunicato dai condomini installatori all'amministratore.

Questi ultimi, a fronte del diniego dell'autorizzazione, impugnavano la delibera innanzi al tribunale il quale, nel respingere l'impugnazione, sosteneva che  un eventuale annullamento della delibera non avrebbe prodotto alcun effetto positivo  per gli attori dal momento che l'installazione dei pannelli , non modificando alcuna parte comune, non necessitava di alcuna autorizzazione.

Alle stesse conclusioni giungeva alla corte di appello la quale ribadiva ulteriormente che l'assemblea condominiale non aveva vietato agli originari attori di effettuare l'installazione ma si era limitata ad esprimere, alla luce dell'art. 1122 – bis, comma 3 del codice civile, un parere contrario al progetto in questione, per il pregiudizio al pari uso della parte comune, invitando gli interessati a  predisporre un progetto alternativo.

Progetto alternativo da presentarsi solo nel caso in cui, per eseguire l'installazione, si rendessero necessari interventi su parti condominiali (art. 1122 – bis co. 3 cit.).

Ora, poiché ai sensi del citato articolo non risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni, non sussisteva alcuna facoltà, per l'assemblea, di prescrivere specifiche modalità esecutive.

Per cui, non vi era alcun interesse ad agire in capo ai signori appellanti in quanto la deliberazione impugnata risultava “contraddistinta da caratteri di superfluità o comunque da valenza consultiva e non decisoria” e non ostacolava l'installazione.

Questi ultimi ricorrono in Cassazione contestando all'assemblea, tra l'altro, di aver esercitato un potere non riconosciutele per legge (ossia deliberare se autorizzare o meno l'installazione di un impianto fotovoltaico), con correlato interesse attuale e concreto ad agire per la dichiaratoria di nullità o annullabilità della delibera la quale esprime,va “un diniego” illegittimo che li aveva convinti che prima di poter legittimamente esercitare il proprio diritto e, quindi, disattendere una delibera e procedere all'installazione dell'impianto fotovoltaico, aggiungendone la necessità di rimuovere l'ostacolo – rappresentato dalla delibera – mediante il suo annullamento.

La posizione della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

La corte d'appello aveva accertato che, al fine di realizzare il progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici ad opera dei condomini, non risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni né, quindi, c'era possibilità per l'assemblea di prescrivere specifiche modalità esecutiva.

In tal senso, la stessa assemblea si sarebbe limitata, giacché sollecitata, ad esprimere un “parere” contrario al progetto in questione, che non assumeva, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, formale frapposizione di un “diniego” ostativo all'iniziativa dei richiedenti .

Solo qualora, infatti, con tale diniego, l'assemblea si fosse opposta alla concreta utilizzazione del bene comune che volesse farne i singoli partecipanti, la delibera di autorizzazione non prevista dalla legge (art. 1122 bis co. 3) poteva ravvisarsi contraria alla legge e come tale impugnabile ex art. 1137 cc

Nella fattispecie in esame, invece, i condomini che desideravano procedere all'istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di  energia da fonti rinnovabili destinata al servizio di una unità immobiliare, senza la necessità di modificare le parti condominiali, non avevano bisogno  di autorizzazione assembleare  e, pertanto, non avevano interesse ad agire per l'impugnazione della deliberazione dell'assemblea che contenevano un parere contrario all'intervento, non generando la stessa alcun pregiudizio concreto ai loro diritti tale da legittimare la richiesta del suo annullamento in quanto assumeva carattere di superfluità o, comunque, solo valenza consultiva e non decisoria e non era di ostacolo all'installazione.

di Luana Tagliolini, giornalista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Fotovoltaico e Condominio

Fotovoltaico in condominio, cosa dice il codice civile
Esaminiamo nel dettaglio le norme che autorizzano ciascun condomino a installare l'impianto fotovoltaico sul lastrico comune del condominio e quali siano gli strumenti a disposizione degli altri condomini per modificarne il progetto

 

LE NUOVE REGOLE SPECIFICHE

 “È consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato” ( Art. 1122 bis , 2° comma, codice civile ).

Quindi il codice civile autorizza e disciplina in modo specifico il diritto di ciascun condomino di utilizzare a proprio esclusivo beneficio il lastrico solare o altro bene comune per installarvi un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili, intendendo sia l'impianto fotovoltaico (  destinati  a convertire le radiazioni solari in energia elettrica da utilizzare poi al servizio domestico) che i  pannelli solari  (che utilizzano i raggi solari per scaldare l'acqua o per il servizio di riscaldamento).

La legge 220 del 2012 ha introdotto una disciplina specifica, molto articolata, per l'esercizio di un diritto che era già riconosciuto, seppure in modo più generico, a favore di ciascun condomino dall'art. 1102 del codice civile.

La prima considerazione da farsi è che  tali impianti sono finalizzati al servizio del fabbisogno elettrico  dell'unità immobiliare privata. La seconda è che possono essere installati su qualsiasi comune bene idoneo, questo rivela la volontà del legislatore di favorire al massimo grado possibile l'installazione di impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Una scelta ben precisa, che ha messo al primo posto l'interesse collettivo alla produzione di energia, favorendone la produzione anche ad opera del singolo.

Arte. 1122 bis, 3° comma, CC

Prima disposizione:  Qualora  si rendano necessarie modifiche delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi”. Qualora.

Pertanto se non vi siano modifiche delle parti comuni il condomino non deve indicare il contenuto specifico e le modalità di esecuzione. Viceversa, se le opere di installazione presuppongono un intervento modificativo delle parti comuni, il condomino deve darne comunicazione all'amministratore, cioè dovrà inviare all'amministratore la documentazione tecnica e ogni altra informazione utile, compresi i nominativi dei professionisti e della ditta. L'amministratore dovrà riferirne in assemblea.

Infatti la norma subito dopo prevede “ L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art.1136 cc, adeguate modalità alternative di esecuzione…”.

Attenzione. I condomini  non potranno negare  al condomino “installatore” la possibilità di installare sul lastrico o tetto comune i pannelli fotovoltaici per la produzione di energia ad uso personale. L'assemblea potrà soltanto proporre delle soluzioni alternative che siano adeguate, aprendo la porta ad infinite discussioni sull'adeguatezza di ciò che viene proposto in alternativa.

Per di più si evidenzia che viene chiesta una maggioranza qualificata molto alta (2/3 dei millesimi) il che, rendendo difficile la delibera, favorisce per contrasto l'opera del singolo condomino che voglia installare i pannelli fotovoltaici. Viene da pensare che il tutto sia stato scientemente voluto dal legislatore.

Poi le “adeguate modalità alternative” da proporre presuppongono l'incarico ad un tecnico che valuta il progetto del condomino “installatore” e ne propone uno alternativo secondo le indicazioni dei condomini.

Il tecnico è scelto e nominato dai condomini con apposita delibera, ma soprattutto è pagato dai condomini, il che è facile prevedere sarà poco gradito dai condomini stessi. Tutto concorre quindi a favorire l'opera di installazione del singolo.

L'articolo in esame prosegue disponendo  “o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio …” .

Questa parte della norma appare superflua laddove fa riferimento alla stabilità e alla sicurezza, perché nessuna opera, in nessun caso può mettere a rischio la sicurezza e la stabilità dell'edificio e delle persone.

Per quanto concerne il decoro architettonico, argomento vago e scivoloso, è un'ipotesi oltremodo marginale: infatti per proporre delle cautele al condomino che intende installare i pannelli, occorre che l'assemblea deliberi l'incarico al tecnico, con la maggioranza qualificata che abbiamo visto , di predisporre una soluzione e poi che questa venga accettata dal condomino.

L'art.1122, 3° comma, CC continua prevedendo che “ ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede  [l'assemblea, ndr],  a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio …”,  norma questa di difficile interpretazione .  Quindi, se non vi è una richiesta degli interessati, l'amministratore non può agire.

 

Arte. 1122 bis, 4° comma, CC

Il 4° comma ha un  impatto pesante , difficile da far digerire ai condomini.

Dice infatti il ​​testo normativo  “L'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale  deve essere consentito  ove necessario per la progettazione e l'esecuzione delle opere”.  Facile immaginare liti furiose.

Di Ferdinando Della Corte, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Bonus Fiscali

Fine annunciata e non prematura dei bonus fiscali in edilizia
Sconto in fattura e cessione del credito finiscono in soffitta mettendo una seria ipoteca sui bonus fiscali ora accessibili a pochi. Incentivi utili che andavano programmati meglio.

 

L'ultimo decreto milleproroghe del Governo, sancisce la cessazione della cessione del credito e dello sconto in fattura. Sostanzialmente per coloro che non hanno capienza fiscale, ovvero il cui reddito non consente di detrarre dalle tasse dovute quanto speso per la riqualificazione energetica o per la ristrutturazione del proprio immobile, si para davanti il ​​muro della inaccessibilità a tali bonus fiscali.

Perché è successo questo. I fattori sono molteplici. Uno su tutti è lo scollamento tra la mole della misura  Superbonus 110%  e la volontà da parte di alcune parti politiche di continuare a gestirla. È ben noto che essa fu concepita il 18 luglio 2020 con il decreto n. 77, quindi in piena epoca pandemica, fase storica improvvisa e di estrema difficoltà che affossava ancor di più la disastrosa condizione nel quale versava il settore dell'edilizia nel nostro Paese. Con il sopraggiungere di codesta misura si è creata una ventata di ottimismo che si è tradotta in una immediata marcia in avanti in campo occupazionale e produttivo. L'aspetto più rilevante, a parte la prospettiva di migliorare energeticamente e strutturalmente i propri immobili, era quella della percentuale di  detrazione fiscale attribuita alla spesa fatta o da fare e la possibilità di cedere il credito ed usufruire dello sconto in fattura. In parole povere, oltre a beneficiari della detrazione totale al 100%, vi era un 10% in più premiale che di fatto era diretto ad incentivare chi acquisiva il credito.

Il processo comportava semplicisticamente quindi tre attori principali: il soggetto “A” che era intenzionato a rinnovare radicalmente la propria casa, l'impresa “B” che realizzava i lavori e che emetteva una fattura a zero verso “A” acquisendo il credito, che poi cedeva al soggetto finanziario “C”, il quale se lo detraeva dalla sua fiscalità. Il soggetto “C” restituiva all'impresa quasi il 100% della spesa lavori e si riservava il restante 10% come agio per l'acquisto del credito.

Andando avanti nel tempo quel 100% si è assottigliato, in pratica “C” decurtava in misura maggiore la  monetizzazione del credito verso “B” che faticava sempre più a fare fronte al crescente costo dei materiali ai quali si faceva fronte adeguando i prezzari sulla base di cui si svolgevano i computi metrici estimativi dei lavori da portare in detrazione. A ciò si aggiungeva il difficile reperimento di questi ultimi e quindi nasceva il problema di rientrate nei tempi di una misura temporalmente a termine, altra criticità di non facile superamento, se non con alcune proroghe che procrastinavano in maniera articolata la fruizione dell'incentivo a seconda dei soggetti beneficiari. Alla fine, scaduto un certo termine, che per i condomini era il 31 dicembre 2023, l'aliquota si abbassava progressivamente sino al 2025. Tuttavia rimanevano in piedi anche la  cessione del credito  e lo  sconto in fattura.

È inutile ora andare a sbobinare tutta la sequela delle modifiche fiscali, tecniche e temporali, non basterebbe un trattato in materia, peraltro difficilmente estendibile per essere perfettamente aderente alla cronistoria degli eventi. Di fatto attualmente appare incomprensibile un certo aspetto.

Come mai una misura che era a termine e che prevedeva una spesa pubblica, o meglio una minore entrata di introiti fiscali verso lo Stato per un massimo di 32 miliardi di euro, è arrivata a costarne 120 di miliardi? Già all'inizio del 2022 alcuni istituti di credito avevano acceso il “warning” e segnalavano che erano arrivati ​​al tetto della loro capacità fiscale. Forse era il caso di interrompere allora il processo e poi resettarlo studiando un nuovo provvedimento mentre si verificavano i risultati iniziali. Di seguito si poteva poi tentare di  rendere la misura come strutturale e permanente , ma con maggiore sostenibilità dei conti pubblici e considerando l'equilibrio che si creava tra minori entrate fiscali con il maggiore gettito dato dall'incremento occupazionale e produttivo e dall'aumento del PIL.

Messo tutto in discussione e decretando l'annullamento della cessione del credito/sconto in fattura, peraltro allargato a tutti gli altri bonus fiscali minori, di fatto il settore edile è bloccato, trascinando nella crisi il proprio indotto ed altri comparti produttivi che crescevano di riflesso .

Attualmente risulta non sostenibile per chi non ha sufficienti possibilità  di cambiare la propria caldaia e gli infissi esterni senza usufruire dello sconto del 65% o 50%, figuriamoci se si vanno a considerare maggiori impegni di spesa per la riqualificazione energetica globale dell'immobile o la sua messa in sicurezza antisismica. Vi sono soluzioni al problema? Di certo sul tema vanno responsabilizzati tutti, soprattutto i beneficiari che devono avere coscienza sull'attenta scelta degli interventi e sullo stile di vita per la diminuzione dei consumi quotidiani. A ciò però è d'obbligo da parte del Governo utilizzare tutte le risorse comunitarie per intervenire decisamente su quei versanti più globali che investono il settore dei trasporti, l'incentivazione delle fonti rinnovabili di energia,

Il Governo e le parti politiche devono mettere seriamente la testa sopra al problema, anche perché le misure restrittive sull'uso del gas fossile sono alle porte e non basta sostituire con la pompa di calore la caldaietta a muro appesa fuori al balcone.

Non si può puntare il dito  biasimando le persone che volevano rifarsi casa a spese dello Stato e adducendo le motivazioni della frode che ha caratterizzato in parte il processo dei bonus fiscali.

Il dovere del controllo è di competenza degli organi statali di vigilanza così come lo è l'attenta programmazione della spesa, ma se non si interviene più generalmente sul costo del lavoro attraverso l'abbassamento del cuneo fiscale, la lotta al precariato ed il sostegno ai settori sociali in disagio, difficilmente si potrà raggiungere un maggiore benessere che potrà ottenere un invito a fare di tasca propria, almeno in parte, la riqualificazione della propria casa.

Particolare attenzione va fatta rispetto alla sicurezza antisismica: ogni evento che si scatena sul nostro Appennino, costa decide di miliardi di euro che in urgenza vengono messi a disposizione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, (PNRR) ha fondato su risorse comunitarie messe a disposizione, assegna notevoli risorse che vanno utilizzate immediatamente nella logica che la salvaguardia del territorio non può essere unicamente a carico del singolo proprietario o altri in concorso con esso.

 

di Domenico Sostero, architetto per il Magazine Condominio Zero Problemi

Supercondominio

Supercondominio, chi partecipa in assemblea?
Parliamo di complessi che uniscono diversi condomini mettendo a disposizione degli abitanti molte parti comuni, ma chi partecipa all'assemblea di questo Supercondominio e con quali vincoli di mandato?

 

Nella realtà odierna abbiamo spesso complessi edilizi articolati in diversi ed autonomi corpi di fabbrica, anche tecnicamente indipendenti per quanto riguarda gli impianti che tuttavia godono di alcuni servizi e impianti comuni, come ingresso, viali di accesso, cortili, accessi pedonali e/o carrabili, giardini, ma anche impianti di riscaldamento centralizzato, impianti per l'acqua potabile, parcheggi, campi da tennis o piscina, locali per la portineria, alloggi per il portiere o altro, tutti legati ai singoli edifici da una relazione di accessorietà.

In tal caso si parla appunto del cd. “supercondominio” o condominio complesso, ove i partecipanti dei singoli edifici, già ciascuno costituito in autonomo condominio, devono insieme gestire anche tali ulteriori beni comuni e condivisi con gli utenti degli altri condomini.

Giova rammentare come il legislatore non utilizzi il termine “supercondominio”, ma lo stesso nel sentire comune e per praticità è diventato di comune dominio e utilizzo, andando ad indicare qualcosa di superiore, una organizzazione al di sopra di quella dei singoli condominii degli edifici separati , che comunque continuano a mantenere la loro autonomia e individualità.

Il raggio di azione dei singoli condomini andava ampliandosi con la gestione di tali ulteriori beni comuni, ma si pose il dubbio se adottasse le regole della comunione di beni, che avrebbe comportato un doppio regime gestorio (condominiale per le parti comuni ed individuali tra i partecipanti ai singoli edifici e di comunione sul bene in comproprietà a tutti i partecipanti ai singoli condominii), con aggravamento delle varie incombenze e necessità di gestione, ovvero le regole tipiche del condominio.

I dubbi in merito alla gestione in comunione o in condominio, erano sciolti dalla novella del 2012 (L. 220/2012), la quale estendeva l'applicabilità delle norme sul condominio anche al supercondominio, prevedendo al nuovo art. 1117-bis cc che le disposizioni in tema di condominio “ si divergono, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di abbiamo edifici parti comuni” .

Dall'entrata in vigore della riforma la gestione di tali beni doveva passare per le regole condominiali, dunque l'assemblea del supercondominio; applicandosi però le medesime norme, si poneva il problema della rappresentanza in detta assemblea. Chi poteva/doveva partecipare all'assemblea del supercondominio?

Certo ammettere tutti i singoli proprietari dei vari condominii avrebbe portato a tenere riunioni difficili e assai poco gestibili, per cui la norma di cui all'art. 67 disp. att. cc, prevede che in caso di numero complessivo inferiore a 60 possano partecipare tutti gli aventi diritto, mentre in caso di numero superiore potranno partecipare esclusivamente il rappresentante di ogni singolo condominio costituente il supercondominio.

Si individuava così la figura del rappresentante, designato dal condominio di appartenenza, e unico soggetto legittimato ad esprimere il voto in assemblea, con efficacia vincolante per l'intero condominio e si stabiliva che nell'assemblea del supercondominio potevano partecipare i soli membri nominati, dai singoli condominii, con la maggioranza degli intervenuti, pari ad almeno 2/3 del valore dell'edificio (maggioranza qualificata ai sensi dell'art. 1136, V comma, cc).

Stabilito quanto sopra ne deriva che anche se non risulta necessaria l'unanimità per nomina dei rappresentanti, essi comunque rappresentino l'intero condominio o meglio tutti i singoli partecipanti ad esso, vincolando anche eventuali assenti, astenuti, dissenzienti.

Il rappresentante, così munito di mandato, abitualmente di durata annuale, è tenuto a rispettare le regole proprie del mandato e dunque a tutelare gli interessi dei rappresentati, osservarne le direttive, riferire delle convocazioni ricevute e delle delibere assunte, affinché l'amministratore ne possa fare poi riferire ai singoli condomini.

Doverosamente, ricevuta la convocazione dell'assemblea del supercondominio, il condominio dovrebbe convocare apposita assemblea per la nomina del rappresentante e per conferire le opportune indicazioni di voto in merito ai punti posti all'ordine del giorno.

Per espressa previsione di legge l'amministratore non potrà ricevere deleghe né, per analogia, essere nominato rappresentante del condominio nel supercondominio.

di Fabrizio Pacileo, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi

Furti in condominio

La responsabilità per furto se i ladri accedono da un ponteggio
In caso di furto in un appartamento situato all'interno di un condominio, realizzato dai ladri accedendo da un ponteggio installato, è configurabile la responsabilità sia dell'imprenditore ex art. 2043 cc che del condominio ex art. 2051 cc.

 

La Corte di Cassazione civile con l'ordinanza n. 26691 del 22 ottobre 2018 ha messo un punto sull'individuazione della responsabilità per un furto avvenuto in un appartamento di un condominio dove i ladri entrarono con l'aiuto di ponteggi non custoditi.

I ladri per entrare all'interno dell'appartamento, si erano serviti di un ponteggio incustodito installato sulla facciata dell'edificio condominiale in ristrutturazione.

Il condomino, proprietario dell'appartamento svaligiato, adì in giudizio sia il Condominio che l'Impresa appaltatrice dei lavori per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di I° grado ha accolto la domanda di parte attrice condannando sia il condominio che la ditta appaltatrice al risarcimento dei danni subiti dall'attore ed al pagamento delle spese di lite.

Il Condominio propone appello alla sentenza del Tribunale sostenendo che la responsabilità dovrebbe ricadere solamente sull'impresa appaltatrice.

A sua difesa il Condominio sostenne che comunicò più volte all'impresa di attuare le misure necessarie per garantire la sicurezza dei condomini ed eccepì l'inapplicabilità dell'art. 2051, essendo il Condominio custode solamente dei beni comuni.

La Corte di Appello ha accolto il ricorso del Condominio condannando il condomino al rimborso di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte d'Appello pur richiamando la responsabilità in solido dell'impresa e del Condominio, escluse la responsabilità ex art. 2051 cc per culpa in vigilando di quest'ultimo, avendo più volte il Condominio chiesto alla ditta, di attuare le misure di sicurezza idonee a garantire la sicurezza contro eventuali furti.

Il condomino propone così ricorso per cassazione, chiedendo la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2051 cc., da parte della Corte d'Appello, in particolare sul punto della mancanza della culpa in vigilando da parte del Codominio.

La Suprema Corte ritenne fondato il ricorso, richiamando nella sentenza impugnata l'art. 2051 cc come norma che disciplina la responsabilità del condominio e che all'interno di questa norma rimane estranea la culpa in vigilando, è pertanto configurabile la responsabilità sia dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 2043 del codice civile per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedisce l'uso anomalo del ponteggio del quale si erano serviti i ladri ,che del Condominio, ai sensi dell'art. 2051 del codice civile per l'omessa vigilanza, concludendo: “ nella ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell'edificio è configurabile la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2043 cod. civ., per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedisce l'uso anomalo dei ponteggi, nonché la responsabilità del condominio, ex art. 2051 cod. civ., per l'omessa vigilanza e custodia, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura ”.

La suprema Corte accolse il ricorso e cassò la sentenza impugnata.

di Giampiero Sponzilli, avvocato per il Magazine Condominio Zero Problemi