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I canoni di locazione sono detraibili?

La detrazione dei canoni di locazione e la comunicazione all’Amministratore
Spesso un affittuario non sa di avere diritto a una detrazione dalle tasse una quota del proprio canone di locazione. I casi previsti dalla legge sono molteplici.

 

Ai titolari di contratti di locazione per unità immobiliari adibite ad abitazione principale spetta una detrazione forfettaria, rapportata all’ammontare del reddito complessivo. La detrazione interessa i contratti a canone libero, a canone convenzionale, stipulati da giovani con età compresa tra i 20 e i 31 anni, o stipulati dai lavoratori dipendenti a causa del trasferimento per motivi di lavoro. Ricordiamo come Le detrazioni non sono cumulabili nello stesso periodo di tempo, ma il contribuente ha il diritto di scegliere quella a lui più favorevole.

La detrazione spettante agli inquilini che hanno stipulato o rinnovato un contratto di locazione per immobili adibiti ad abitazione principale è pari a 300,00 euro se il reddito complessivo non superi i 15.493,71 euro; se invece abbiamo un reddito complessivo tra 15.493,71 e 30.987,41 euro la detrazione spettante è pari ad euro 150,00.

La detrazione è suddivisa in base ai cointestatari del contratto di locazione dell’abitazione principale. La detrazione può essere fruita non solo se il contratto di locazione è stato stipulato ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ma anche se è stato stipulato ai sensi di precedenti normative ed automaticamente prorogato per gli anni successivi.

Ai soggetti titolari di contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, stipulati o rinnovati a norma dell’art. 2, comma 3, e dell’art. 4, commi 2 e 3, della l. n. 431 del 1998 (c.d. contratti convenzionali), spetta una detrazione stabilita in misura forfetaria, rapportata al numero dei giorni nei quali l’unità immobiliare è stata adibita ad abitazione principale, pari a 495,80 se il reddito complessivo non superi i 15.493,71 euro; se invece il reddito complessivo è ricompreso tra 15.493,71 e 30.987,41 euro la detrazione spettante è di euro 247,90.

Ai giovani con età compresa tra i 20 e i 31 anni non compiuti, con un reddito complessivo non superiore a 15.493,71 euro, che stipulano un contratto di locazione avente ad oggetto una unità immobiliare o sua porzione da destinare a propria residenza, spetta una detrazione dall’imposta lorda pari al 20% dell’ammontare del canone di locazione entro il limite massimo di 2.000,00 euro e, in ogni caso, la detrazione non può essere inferiore a 991,60 euro.

La detrazione compete per i primi quattro anni dalla stipula del contratto sempreché il conduttore si trovi nelle condizioni anagrafiche e reddituali richieste dalla norma. Il rispetto dei requisiti richiesti deve essere verificato in ogni singolo periodo d’imposta per il quale si chiede di fruire dell’agevolazione.

Per quanto riguarda il requisito anagrafico, questo è soddisfatto se ricorre anche per una parte del periodo d’imposta; tuttavia, il contratto deve essere stipulato prima del compimento del trentunesimo anno d’età. In tal caso la detrazione spetta solo fino all’anno d’imposta in cui si sono compiuti i 31 anni.

Ricordiamo che nel caso in cui il contratto di locazione sia stipulato da più conduttori e solo uno abbia i requisiti di età previsti dalla norma, solo quest’ultimo può fruire della detrazione in esame per la sua quota.

Ai lavoratori dipendenti che per esigenze di lavoro trasferiscano la propria residenza nel comune di lavoro o in uno limitrofo spetta una detrazione forfettaria pari a 991,60 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro; se invece il reddito complessivo sia compreso tra 15.493,71 e 30.987,41 euro la detrazione spettante è di 495,80 euro. Nel caso in cui il lavoratore dipendente perda tale qualifica, la detrazione non spetta più dal periodo d’imposta successivo a quello in cui la qualifica è venuta meno.

L’elemento cardine che caratterizza la detrazione è il trasferimento della residenza nel comune di lavoro o in uno limitrofo; questo cambiamento deve avvenire nei 3 anni che precedono la richiesta di detrazione che spetta per i primi 3 anni dalla data di variazione della residenza.

Il Comune in cui si è spostata la residenza deve essere situato ad almeno 100 km di distanza dal precedente Comune e, in ogni caso, in una regione diversa.

Il lavoratore deve essere titolare di un contratto di locazione di unità immobiliare adibita ad abitazione principale. Nel caso in cui il contratto sia intestato a più soggetti, la detrazione va suddivisa tra gli intestatari del contratto che possiedano i predetti requisiti, nella misura spettante in base al proprio reddito. Qualora il contratto sia intestato a 3 soggetti, 2 dei quali lavoratori dipendenti, la detrazione spetta solo a questi ultimi, in misura pari al 50% ciascuno, fermo restando i limiti previsti per i relativi redditi.

Ricordiamo come ogni volta che si sottoscriva un contratto di locazione questo vada registrato presso l’Agenzia delle Entrate (o di persona invero telematicamente). Tale registrazione va effettuata entro 30 giorni dalla data di stipula, o di decorrenza, del contratto di locazione. Entro 60 giorni, invece, va data comunicazione all’Amministratore di Condominio dell’avvenuta registrazione del contratto.

La comunicazione all’Amministratore deve contenere i dati anagrafici del nuovo inquilino, nel caso di un nuovo contratto di affitto, o del nuovo proprietario dell’unità immobiliare in caso di compravendita. Andranno inoltre comunicati gli estremi del contratto che sancisce il passaggio di proprietà o di utilizzo dell’appartamento, ovverosia numero di registrazione e data del contratto – o dell’atto notarile di compravendita (prassi consuetudinaria è quella di trasmettere la prima pagina del contratto di locazione, contenente tutti i dati anagrafici delle parti, l’ubicazione e la durata del contratto).

La normativa parla esplicitamente di “documentata comunicazione” della registrazione del contratto, che il proprietario deve trasmettere al conduttore e all’amministratore del condominio. Generalmente è sufficiente comunicare gli estremi della registrazione dell’atto, che consentono di risalire con facilità a tutti i dati necessari per individuare il nuovo locatario.

La normativa di riferimento risale alla legge 431 del 1998, “Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo”, modificata poi dalla legge 208 del 2015 – la cosiddetta Legge di Stabilità. Nella Legge di Stabilità è chiaramente esplicitato che: “è fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130 del Codice civile”. L’articolo del Codice civile cui si fa riferimento riguarda le attribuzioni e gli obblighi degli amministratori di condominio, tra i quali vi sono:

  • La convocazione delle assemblee e la cura dell’osservanza del regolamento condominiale;
  • La riscossione dei contributi e loro erogazione per le spese di manutenzione ordinaria degli spazi;
  • La responsabilità in materia di adempimenti fiscali;
  • La tenuta del registro di anagrafe condominiale.

Tale registro contiene “le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare”.

Ogni modifica relativa ai dati citati deve necessariamente essere comunicata all’amministratore entro 60 giorni, affinché questi possa tener fede al proprio obbligo di curare ed aggiornare il registro di anagrafe condominiale. Il duplice obbligo, in capo al locatario, di registrazione del contratto e di comunicazione dei dati all’amministratore, è dunque stato introdotto soltanto nel 2016, con la Legge di Stabilità. La stessa legge prevede che, in caso di inerzia da parte del proprietario dell’unità abitativa, sia lo stesso amministratore di condominio ad attivarsi onde ottenere i dati necessari al corretto adempimento dei suoi doveri.

Ricordiamo come l’amministratore di condominio abbia la facoltà di addebitare al locatore gli eventuali costi sostenuti per l’ottenimento dei dati, ma anche che l’amministrazione condominiale può avere la sua parte di responsabilità in merito all’obbligo di ottenere i dati di cui sopra, anche laddove non venissero comunicati dal locatore come disposto dalla legge.

Gli unici due strumenti che consentono tale comunicazione sono la raccomandata con ricevuta di ritorno e la PEC (questo perché sono gli unici strumenti che possono rilasciare ricevuta di avvenuta consegna), che quindi andranno assunti come strumento da prediligere per questo genere di comunicazioni.

di Alessandro Gradelli, fiscalista per il Magazine Condominio Zero Problemi

Trattamento di Fine Rapporto

Cosa c’è da sapere sul tuo TFR

L’indennità del TFR risale al 1924 con la legge sull’impiego privato R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825, la norma introdusse un’indennità ulteriore, valida solo per il personale impiegatizio e solo per i casi di licenziamento non per giusta causa, prima  del 1982, l’indennità spettante al prestatore di lavoro all’atto della cessazione del rapporto era denominata,  indennità di licenziamento, e successivamente indennità di anzianità.

Con la  Legge 297/1982 il legislatore  ha  modificato profondamente l’istituto, ora denominato Trattamento di fine rapporto. Il TFR è un elemento retributivo differito che spetta al lavoratore subordinato in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, è una quota parte della retribuzione mensile, che viene accantonata e poi erogata dal datore di lavoro quando il rapporto lavorativo si interrompe. Queste quote sono poi rivalutate e sono a disposizione del lavoratore nel momento in cui   cessa il rapporto di lavoro.

Un’ulteriore modifica è stata introdotta con il D.Lgs. 21/04/1993, n. 124 che ha   inserito la disciplina dei fondi pensione privatistici, cioè di quelle forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari con lo scopo di assicurare   livelli di copertura previdenziale più elevati.

Le forme di Previdenza Complementare costituiscono il c.d. secondo pilastro del nostro sistema previdenziale, che si affianca al sistema pensionistico pubblico c.d. primo pilastro.  Con la Legge 296/2006, si è reso obbligatorio il conferimento del TFR maturando a forme pensionistiche complementari, dal 1° gennaio 2007, ha di nuovo mutato la finalità dell’istituto che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe diventare uno strumento di finanziamento previdenziale.

Dal 1 gennaio 2007, ciascun lavoratore dipendente deve decidere se destinare il proprio TFR da maturare alle forma pensionistiche complementari o mantenere lo stesso presso il datore di lavoro.

E’ importante sottolineare   che il nuovo regime riguarda esclusivamente il TFR che matura dal 1° gennaio 2007. Il TFR maturato fino alla data di esercizio dell’opzione resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato alla fine del rapporto di lavoro.  Il lavoratore entro 6 mesi dall’assunzione deve esprimere la sua volontà, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007; mentre per i lavoratori  già in servizio all’entrata in vigore della riforma hanno dovuto esprimere la scelta entro il 30.6.2007, il lavoratore dipendente del settore privato deve effettuare la scelta di adesione o meno alla previdenza complementare con le seguenti modalità :

  1. Il lavoratore può decidere di aderire alla previdenza complementare, indicando il fondo pensione prescelto e dichiarando la propria volontà di conferirvi a titolo di contribuzione il TFR maturando (assenso esplicito), l’adesione determina l’automatica iscrizione del lavoratore alla forma indicata.
  2. Oppure decidere di non aderire, dichiarando espressamente il proprio diniego (rifiuto esplicito) scegliendo per il mantenimento del TFR maturando presso il proprio datore di lavoro; il lavoratore comunque può sempre decidere successivamente di revocare tale scelta e conferire il TFR ad un fondo pensione complementare. Nel caso in cui il lavoratore lasci passare inutilmente i 6 mesi di tempo previsti dalla legge, l’adesione al fondo pensione categoriale avviene automaticamente, e comporta la devoluzione integrale e obbligatoria del TFR maturando (silenzio – assenso).

Il datore di lavoro è obbligato a trasferire il TFR maturando del dipendente al fondo pensione individuato secondo i criteri definiti dall’art. 8, c. 7, lett. b, DLgs. 252/2005.

Se il lavoratore aderisce volontariamente o per effetto del silenzio assenso, la decisione sarà irrevocabile e il TFR maturando sarà devoluto al Fondo Pensione ( Al termine del rapporto pertanto non gli verrà corrisposto il TFR, ma riceverà, a cominciare dalla data di maturazione dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico, sarà una pensione integrativa in forma  di una rendita periodica); se l’adesione proviene da un lavoratore con un rapporto iniziato anteriormente al 1° gennaio 2007, il TFR maturato precedentemente sarà corrisposto in regime di retribuzione differita alla cessazione del rapporto;

Se il lavoratore decide di non aderire a nessuna previdenza complementare continuerà a maturare il TFR che sarà liquidato al termine del rapporto in regime di retribuzione differita.

Un regime particolare è previsto per i lavoratori con rapporto già in essere al 29 aprile 1993, è previsto  un regime particolare, in quanto  hanno la possibilità di trasferire anche solo una parte del TFR maturando, con le seguenti modalità:

  • I soggetti che al 1° gennaio 2007 erano già iscritti ad una forma pensionistica complementare possono decidere di contribuire al fondo con la stessa quota versata in precedenza mantenendo presso il datore di lavoro la quota residua di TFR. In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 49 dipendenti, il residuo TFR è trasferito dal datore di lavoro al Fondo Tesoreria Inps;
  • I lavoratori che al 1° gennaio 2007 non erano iscritti ad una forma pensionistica complementare possono scegliere di trasferire il TFR futuro a una forma pensionistica complementare, nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza, in misura non inferiore al 50%.

In entrambi i casi resta ferma la possibilità di incrementare la quota di TFR futuro da versare alla forma pensionistica complementare.

L’adesione dei dipendenti alle forme pensionistiche complementari comporta L’obbligo per i datori di lavoro di versare mese per mese la quota di retribuzione  accantonata a titolo di TFR al Fondo Pensione prescelto dal lavoratore.

Nelle  aziende con almeno 50 dipendenti, il datore perde di fatto la disponibilità di tali quote dovendole conferire ad un apposito fondo (c.d. Fondo Tesoreria) istituito dalla Legge 296/2006 presso la Tesoreria dello Stato e gestito dall’Inps.

Il Fondo Tesoreria erogherà le prestazioni secondo le modalità previste dall’art. 2120 c.c.

Anche il calcolo del Tfr ha subito nel tempo delle modifiche infatti la della Legge 297/1982, prevedeva, in caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la corresponsione al lavoratore di un’indennità di anzianità proporzionale agli anni di servizio. L’ammontare dell’indennità (conosciuta come liquidazione) era determinata in base all’ultima retribuzione e in relazione alla categoria di appartenenza del prestatore di lavoro.

Il calcolo dell’indennità di anzianità seguiva modalità diverse a seconda che si trattasse di impiegati o di operai:

  • per gli impiegati si moltiplicava l’ultima retribuzione mensile per il numero di anni di servizio maturati presso la stessa azienda;
  • per gli operai si moltiplicava l’ultima retribuzione oraria per il numero di ore annue (fissato convenzionalmente dalla contrattazione collettiva di categoria) e quindi per il numero di anni di servizio.

Secondo l’art. 2120 Codice Civile, come modificato della L. 297/1982, il TFR si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5 (art. 2120 c.c., c. 1).

In caso di sospensione del rapporto di lavoro nel corso dell’anno per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve considerarsi quale base per il calcolo del TFR da accantonare l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto stesso (art. 2120 c.c., c. 3).

La quota di TFR accantonata, ad eccezione di quella maturata nell’anno in corso, deve essere incrementata al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso dell’indice Istat (art. 2120 c.c., c. 4).

Per i lavoratori in forza alla data del 1° giugno 1982,il TFR verrà  calcolato con il sistema misto, per gli anni di lavoro anteriori alla L. 297 del 1982 , si calcola la retribuzione di maggio 1982 per gli anni di servizio maturati fino al 31/05/82 e l’importo ottenuto viene rivalutato anno per anno, sempre in base alle tabelle Istat.

Per i periodi successivi al 1/06/1982 il calcolo viene effettuato in base all’art 2120 c.c.

Il TFR spettante sarà dunque costituito dalla somma degli importi ottenuti con i due criteri di calcolo.

L’art. 2122 stabilisce che, in caso di morte del lavoratore, il TFR maturato fino alla data del decesso sia corrisposto sotto forma di indennità sostitutiva ai superstiti.

Ne hanno diritto il coniuge, i figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. In mancanza di tali persone, l’indennità è attribuita secondo le regole della successione testamentaria o legittima.

E possibile per il lavoratore richiedere un anticipazione del TFR (art. 2120 c.c. commi 6 – 11) in base a determinate condizioni:

  • il lavoratore deve avere maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro;
  • l’anticipazione deve essere contenuta nei limiti del 70 % del trattamento spettante nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta;
  • l’anticipazione deve essere altresì contenuta nei limiti del 10 % degli aventi titolo e, comunque, del 4 % del numero totale dei dipendenti. ;
  • l’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro (art. 2120 c.c., c. 9).

La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:

  • per spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti da strutture pubbliche;
  • Per acquisto della prima casa di abitazione per seo per i figli, deve essere documentato con atto notarile; per spese sostenute durante i periodi di utilizzo di congedi parentali o per spese di formazione del lavoratore.

Per terminare è importante ricordare che l’art 2 della L. 297/82 ha istituito presso l’INPS il Fondo di Garanzia per il TFR, questo fondo ha lo scopo di erogare al lavoratore dipendente o suoi aventi causa il TFR in caso di insolvenza da parte del Datore di Lavoro; i casi in cui può essere richiesta l’erogazione del TFR da parte del Fondo di garanzia sono definiti dallo stesso art. 2 della Legge 297/1982 (commi 2 – 5); essi sono: Il Fallimento; il Concordato Preventivo e la Liquidazione Coatta Amministrativa.

di Marina Parente, consulente del lavoro per il Magazine Condominio Zero Problemi

Bonus fiscali in condominio

Fine annunciata e non prematura dei bonus fiscali in edilizia
Sconto in fattura e cessione del credito finiscono in soffitta mettendo una seria ipoteca sui bonus fiscali ora accessibili a pochi. Incentivi utili che andavano programmati meglio.

L’ultimo decreto milleproroghe del Governo, sancisce la cessazione della cessione del credito e dello sconto in fattura. Sostanzialmente per coloro che non hanno capienza fiscale, ovvero il cui reddito non consente di detrarre dalle dovute tasse quanto speso per la riqualificazione energetica o per la ristrutturazione del proprio immobile, si para davanti il muro della inaccessibilità a tali bonus fiscali.

Perché è successo questo? I fattori sono molteplici.

Uno su tutti è lo scollamento tra la mole della misura Superbonus 110% e la volontà da parte di alcune parti politiche di continuare a gestirla.

È ben noto che essa fu concepita il 18 luglio 2020 con il decreto n. 77, quindi in piena epoca pandemica, fase storica improvvisa e di estrema difficoltà che affossava ancor di più la disastrosa condizione nel quale versava il settore dell’edilizia nel nostro Paese. Con il sopraggiungere di codesta misura si è creata una ventata di ottimismo che si è tradotta in una immediata marcia in avanti in campo occupazionale e produttivo.

L’aspetto più rilevante, a parte la prospettiva di migliorare energeticamente e strutturalmente i propri immobili, era quella della percentuale di detrazione fiscale attribuita alla spesa fatta o da fare e la possibilità di cedere il credito ed usufruire dello sconto in fattura. In parole povere, oltre a beneficiare della detrazione totale al 100%, vi era un 10% in più premiale che di fatto era diretto ad incentivare chi acquisiva il credito.

Il processo comportava semplicisticamente quindi tre attori principali: il soggetto “A” che era intenzionato a rinnovare radicalmente la propria casa, l’impresa “B” che realizzava i lavori e che emetteva una fattura a zero verso “A” acquisendo il credito, che poi cedeva al soggetto finanziario “C”, il quale se lo detraeva dalla sua fiscalità. Il soggetto “C” restituiva all’impresa quasi il 100% della spesa lavori e si riservava il restante 10% come agio per l’acquisto del credito.

Andando avanti nel tempo quel 100% si è assottigliato, in pratica “C” decurtava in misura maggiore la monetizzazione del credito verso “B” che faticava sempre più a fare fronte al crescente costo dei materiali ai quali si faceva fronte adeguando i prezzari sulla base di cui si svolgevano i computi metrici estimativi dei lavori da portare in detrazione.

A ciò si aggiungeva il difficile reperimento di questi ultimi e quindi nasceva il problema di rientrate nei tempi di una misura temporalmente a termine, altra criticità di non facile superamento, se non con alcune proroghe che procrastinavano in maniera articolata la fruizione dell’incentivo a seconda dei soggetti beneficiari.  Alla fine, scaduto un certo termine, che per i condomini era il 31 dicembre 2023, l’aliquota si abbassava progressivamente sino al 2025. Tuttavia rimanevano in piedi anche la cessione del credito e lo sconto in fattura.

È inutile ora andare a sbobinare tutta la sequela delle modifiche fiscali, tecniche e temporali, non basterebbe un trattato in materia, peraltro difficilmente estendibile per essere perfettamente aderente alla cronistoria degli eventi. Di fatto attualmente appare incomprensibile un certo aspetto.

Come mai una misura che era a termine e che prevedeva una spesa pubblica, o meglio una minore entrata di introiti fiscali verso lo Stato per un massimo di 32 miliardi di euro, è arrivata a costarne 120 di miliardi? Già all’inizio del 2022 alcuni istituti di credito avevano acceso il “warning” e segnalavano che erano arrivati al tetto della loro capacità fiscale.

Forse era il caso di interrompere allora il processo e poi resettarlo studiando un nuovo provvedimento mentre si verificavano i risultati iniziali. Di seguito si poteva poi tentare di rendere la misura come strutturale e permanente, ma con maggiore sostenibilità dei conti pubblici e considerando l’equilibrio che si creava tra minori entrate fiscali con il maggiore gettito dato dall’incremento occupazionale e produttivo e dall’aumento del PIL.

Messo tutto in discussione e decretando l’annullamento della cessione del credito/sconto in fattura, peraltro allargato a tutti gli altri bonus fiscali minori, di fatto il settore edile è bloccato, trascinando nella crisi il proprio indotto ed altri comparti produttivi che crescevano di riflesso.

Attualmente risulta non sostenibile per chi non ha sufficienti possibilità cambiare la propria caldaia e gli infissi esterni senza usufruire dello sconto del 65% o 50%, figuriamoci se si vanno a considerare maggiori impegni di spesa per la riqualificazione energetica globale dell’immobile o la sua messa in sicurezza antisismica.

Vi sono soluzioni al problema? Di certo sul tema vanno responsabilizzati tutti, soprattutto i beneficiari che devono avere coscienza sull’attenta scelta degli interventi e sullo stile di vita per la diminuzione dei consumi quotidiani. A ciò però è d’obbligo da parte del Governo utilizzare tutte le risorse comunitarie per intervenire decisamente su quei versanti più globali che investono il settore dei trasporti, l’incentivazione delle fonti rinnovabili di energia, la ricerca e quant’altro utile per rientrare nei criteri del pubblico interesse e senza ricadere in manovre incentivanti di tipo eccessivamente privatistico che vanno ad aumentare il debito pubblico.

Il Governo e le parti politiche devono mettere seriamente la testa sopra al problema, anche perché le misure restrittive sull’uso del gas fossile sono alle porte e non basta sostituire con la pompa di calore la caldaietta a muro appesa fuori al balcone.

Non si può puntare il dito biasimando le persone che volevano rifarsi casa a spese dello Stato e adducendo le motivazioni della frode che ha caratterizzato in parte il processo dei bonus fiscali.

Il dovere del controllo è di competenza degli organi statali di vigilanza così come lo è l’attenta programmazione della spesa, ma se non si interviene più generalmente sul costo del lavoro attraverso l’abbassamento del cuneo fiscale, la lotta al precariato ed il sostegno ai settori sociali in disagio, difficilmente si potrà raggiungere un maggiore benessere che potrà costituire un invito a fare di tasca propria, almeno in parte, la riqualificazione della propria casa.

Particolare attenzione va fatta rispetto alla sicurezza antisismica: ogni evento che si scatena sul nostro Appennino, costa decine di miliardi di euro che in urgenza vengono messi a disposizione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, (PNRR) fondato su risorse comunitarie messe a disposizione, assegna notevoli risorse che vanno utilizzate immediatamente nella logica che la salvaguardia del territorio non può unicamente essere a carico del singolo proprietario o altri in concorso con esso.

di Domenico Sostero, architetto per il Magazine Condominio Zero Problemi

Canoni di locazione di beni condominiali

La tassazione dei canoni di locazione non riscossi
Uno degli aspetti da tenere in considerazione in caso di stipula di un contratto di locazione riguarda il possibile assoggettamento a tassazione dei canoni di locazione non riscossi.

 

Negli ultimi anni, complice anche la crisi economica, i soggetti conduttori di immobili abitativi   si sono trovati nella situazione di non riuscire più a pagare il canone di locazione. L’inadempimento del conduttore si riflette negativamente sul proprietario dell’immobile, questi, infatti, è tenuto a dichiarare anche i canoni di locazione non riscossi, è chiamato ,quindi, a versare le imposte , in quanto la legge impone la tassazione dei canoni di locazione immobiliare abitativa, a prescindere dalla loro effettiva percezione. Per questi redditi è prevista la tassazione secondo il “principio di competenza“.

Tuttavia, la normativa fiscale prevede la possibilità di esentare il locatore dalla dichiarazione dei canoni di locazione non riscossi a partire dal momento della notifica dell’intimazione dello sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento senza dover attendere, come prevedeva il testo prima della modifica, la conclusione della procedura di sfratto per morosità. Il D.L. 34/2019 ha introdotto una prima modifica del disposto permettendo al proprietario di non pagare le imposte sui canoni di affitto non percepiti a partire dalla data di notifica di una ingiunzione di pagamento o di intimazione di sfratto per morosità senza dover attendere l’esito della procedura di sfratto , l’emendamento del decreto sostegni DL 41/2021 ha stabilito che lo sconto Irpef per le somme non percepite dai proprietari decorre a partire dal 1° gennaio 2020 indipendentemente dal momento in cui è stato stipulato il contratto.

 

Per il proprietario si possono presentare due situazioni:
  1. se la comunicazione di intimazione di sfrattoavviene entro il 30 novembre (termine di presentazione del modello Redditi) è possibile evitare la tassazione del canone relativo all’anno di imposta, oggetto della dichiarazione. In questo caso deve essere compilato in modo particolare il quadro relativo ai redditi fondiari. E’ necessario indicare il codice 4 nellacasella 7 (“casi particolari“). In questo modo viene assoggettata a tassazione la rendita catastale rivalutata dell’immobile. Qualora il canone di locazione sia stato percepito solo per una parte dell’anno, deve essere compilato un unico rigo, riportando solo la quota di canone effettivamente percepita, in colonna 6.
  2. Qualora il provvedimento arrivi oltre il 30 novembre, i canoni di locazione non riscossi devono essere soggetti a tassazione. Quindi, il canone di locazione non riscosso rimane comunque soggetto ad IREPF o a Cedolare Secca. In questo caso, al contribuente sarà riconosciuto un credito d’imposta. Tale credito risulta essere pari alle imposte pagate a causa dell’indicazione in dichiarazione dei canoni.

Per determinare la misura del credito è necessario riliquidare le dichiarazioni delle annualità dove tali canoni sono stati tassati, sostituendo al reddito proveniente dal canone, la rendita catastale rivalutata dell’immobile. Tale credito, una volta determinato, deve essere riportato nel quadro CR, al rigo CR8 e può essere utilizzato a riduzione della tassazione dell’anno.

I canoni percepiti dal locatore in periodi di imposta successivi a quello cui i canoni si riferiscono, dovranno essere assoggettati a tassazione separata.

Il modo più semplice per evitare di dover anticipare le tasse sui canoni non percepiti è quello di inserire nel contratto di locazione una clausola che consente al proprietario di risolvere il contratto in modo automatico, senza doversi rivolgere al giudice, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva espressa risolve anticipatamente il contratto nel caso di morosità dell’inquilino, in questo caso il proprietario può eccepire alla Agenzia delle Entrate la risoluzione del contratto

Francesca Bonanata, commercialista per il Magazine Condominio Zero Problemi